venerdì 29 maggio 2009

John Fante - La strada per Los Angeles

Un romanzo agisce su diversi livelli: La strada per Los Angeles, il primo della serie che vede protagonista Arturo Bandini, ha stile e contenuti divertenti e emozionanti, e io lo preferisco a "Chiedi alla polvere", il più famoso dei romanzi di John Fante. Ad un altro livello, a distanza di oltre settant'anni, la storia di Arturo, "immigrato, attaccabrighe, ribelle, megalomane, sprezzante e perennemente in lite con tutti", ci parla di immigrazione, culture diverse, comportamenti e punti di vista apparentemente contraddittori e incomprensibili, e ci fa pensare, o perlomeno mi fa pensare, a un mondo più vicino, il nostro, a un tempo presente e a problemi, idee, comportamenti e modi di vivere che si ripresentano senza molte dissomiglianze nell'Italia e nell'Occidente di oggi. Gli albanesi o rumeni di oggi sembrano gli italiani di ieri, gli americani di allora somigliano agli italiani di ora.
La strada per Los Angeles ricevette una serie di rifiuti dalle case editrici (scritto nel 1936, fu pubblicato postumo nel 1985). La fama stessa di John Fante, tra l'altro anche ottimo scrittore di racconti e sceneggiatore di film, è cresciuta solo dopo la sua morte. 
 
 
Cacciai di tasca il taccuino nuovo e ne sfogliai le pagine con il pollice. Le sfogliai così rapidamente che non poté leggere nulla, ma vide che c'era scritto qualcosa.
- Questi sono appunti, - dissi. - Notazioni d'atmosfera. Sto scrivendo un dialogo socratico sul porto di Los Angeles a partire dai giorni della conquista spagnola.
- Vediamo, - disse zio Frank
- Niente da fare. Non prima della pubblicazione.
- La pubblicazione! Ma che vai dicendo?
Rimisi in tasca il taccuino. Puzzava di granchio.
- Perché non ti svegli e fai l'uomo? - disse. - Tuo padre lassù ne sarebbe contento.
- Lassù dove?
- Nell'aldilà.
Me l'aspettavo
- Non c'è nessun aldilà, - dissi. - L'ipotesi del paradiso non è che banale propaganda messa in giro dai ricchi per illudere i poveri. Io metto in discussione l'immortalità dell'anima. Nient'altro che il persistente inganno di un genere umano coi paraocchi. Io rigetto con la massima chiarezza l'ipotesi Dio. La religione è l'oppio dei popoli. Le chiese dovrebbero essere trasformate in fabbriche e ospedali. Tutto ciò che siamo o che pure speriamo di essere lo dobbiamo al diavolo e ai suoi pomi proibiti. Nella Bibbia ci sono 78000 contraddizioni. E' questa la parola di Dio? No! Io rifiuto Dio! Lo denuncio con imprecazioni furiose e implacabili! Io ammetto un universo senza DIo. Sono un monista!
- Tu sei pazzo, - disse. - Sei completamente fuori di testa.
- Tu non mi capisci, - sorrisi, - ma va bene lo stesso. E' per me prevedibile l'incomprensione; sicuro, mi aspetto le peggiori persecuzioni lungo la mia strada. Va bene così.
Svuotò la pipa e mi agitò il dito sotto il naso.
- Quello che devi fare è smetterla di leggere tutti questi libri dannati, smettere di rubare, diventare uomo, ed andare a lavorare.
Spezzai la mia sigaretta. - Libri! -dissi. - E che ne sai tu dei libri? Tu! Un ignorantone, uno Scemus Americanus, un asino, un villano zoticone fornito dell'intelligenza di una puzzola!
Rimase fermo a riempire la pipa. Io non dicevo nulla perché era il suo turno. Mi studiò per un poco pensando a qualcosa.
- Forse ho un lavoro per te, - disse.
- Di che si tratta?
- Non lo so ancora. Vedrai da te.
- Bisogna che si attagli al mio talento. Non dimenticare che sono uno scrittore. Ho avuto una metamorfosi.
- Non mi interessa che cosa ti è successo. E' lavoro. Forse alle industrie del pesce.
- Non ne so niente delle industrie del pesce.
- Bene, - disse. - Meno ne sai e meglio è. Ti servono soltanto una schiena forte e una testa debole. Le hai entrambe.
- Questo lavoro non mi interessa, - gli dissi. - Dovrei piuttosto scrivere. Prosa.
- Prosa, prosa... Che è questa prosa?
- Sei un babbione conformista. Non la conoscerai mai, la buona prosa, in tutta la tua vita.
- Mi sa che dovrei riempirti di botte.
- Provaci.
- Piccolo bastardo
- Bifolco americano.
Si alzò e lasciò il tavolo con occhi di fuoco. Andò quindi nella stanza a fianco a parlare con mamma e Mona, dicendo loro che ci eravamo intesi e che d'ora in avanti avrei voltato pagina. Diede loro un po' di soldi e disse a mia madre di non preoccuparsi di niente. Io andai sulla porta e feci un cenno di buonasera quando uscì. Mia madre e Mona mi guardavano negli occhi. Avevano pensato che sarei uscito dalla cucina con le lacrime a rigarmi il viso. Mia madre mi mise le mani sulle spalle. Dolce e consolatoria, pensava che zio Frank mi avesse umiliato.
- Ha ferito i tuoi sentimenti, - disse. - Vero, povero il mio ragazzo?
Mi tolsi quelle mani di dosso.
- Chi? - dissi. - Quel cretino? Ma certo che no, che diavolo!
- Hai l'aria di uno che ha pianto.
Entrai in camera da letto e mi guardai gli occhi allo specchio. Erano asciutti come al solito. Mia madre mi seguì e cominciò a passarci un fazzoletto. Ma che caspita, pensai.
- Posso chiederti che stai facendo? - dissi.
- Povero ragazzo! Va tutto bene. Sei imbarazzato. Ti capisco. Mamma capisce tutto.
- Ma io non sto piangendo!
Delusa, si allontanò.
 
 
"Attenzione: colui che entrerà in scena all'inizio di questo romanzo, in qualità di umile spalatore di fossi, è uno dei personaggi più leggendari prodotti dalla letteratura moderna. Attenzione ad Arturo Bandini, il possente scrittore, lo spietato condottiero, l'invincibile mezzofondista, l'amante irresistibile, il tenero figlio che dà sangue e sudore per mantenere una famiglia di femmine parassite. Bandini l'immortale, orgoglio d'Italia e d'America; l'astuto Bandini che nessuno mette nel sacco; egli sta per fare la propria comparsa e conquisterà il mondo." (Sandro Veronesi)