sabato 9 febbraio 2008

Celine - Morte a credito

I grandi scrittori sono grandi persone? Louis Ferdinand Auguste Destouches, nome d'arte Celine, 1894-1961, percosso dal padre quando era bambino, invalido di guerra (la prima guerra mondiale), incontra sua moglie negli ambienti della prostituzione, soffre d'insonnia e di fischi continui agli orecchi, guarisce dalla malaria, fa il medico senza stipendio per i poveri che non possono pagarlo, diventa antisemita e scrive anche alcuni pamphlet contro gli ebrei (odiava un po' tutti: arabi, negri, cinesi, capitalisti, comunisti), appoggiando a suo modo la Germania hitleriana. E' difficile non parlare della sua vita pensando ai suoi romanzi: sono tutt'uno. Morte a credito parla di quando era bambino e adolescente; pur essendo stato scritto dopo l'altro suo romanzo, Viaggio al termine della notte, ne è una premessa. E' difficile innamorarsi di un libro senza innamorarsi dello scrittore-uomo. Da questo punto di vista Celine mi mette in grande difficoltà: preferisco vederlo come medico compassionevole e faccio fatica a immaginarlo come razzista, visto che metto i suoi due romanzi ai vertici delle mie letture.
"Morte a credito", pubblicato nel 1936, è il secondo romanzo di Céline, che nelle sue pagine ritorna alla propria infanzia e adolescenza. Cresciuto in un'atmosfera soffocante e carica d'odio, illuminata solo dalle presenze della nonna Caroline e dello zio Eduard, il giovane Ferdinand racconta le proprie esperienze familiari, turistiche, scolastiche, erotiche e di lavoro. (IBS)

28 commenti:

Stranistranieri ha detto...

Ho tenuto "Morte a credito" per molti anni sul comodino. Come una bibbia. per aprirlo a caso e leggerne una pagina o semplicemente ricominciare a e andare avanti.E sempre con uno struggimento invidioso, perchè per scrivere in quel modo bisogna essere contenitori di male e di bene nella stessa quantità.

Anonimo ha detto...

Ricordo d'averlo letto molti anni fa e di essere stato molto impressionato dalla sua scrittura.
Come spesso è accaduto, e accade, l'opera supera l'autore.

Homo Vulgaris

Anonimo ha detto...

Per essere grandi scrittori (eviterò di chiamarli di serie A per non evocare in qualcuno Trézéguet) sono necessari stile ed umanità. Céline ha un certo stile (sebbene i puntini sospensivi a lungo andare facciano un po’ uggia), ma umanità zero. Per chi considera il fascismo una patologia dell’anima (in greco psykhḗ) il suo posto nella storia della follia (alla quale Silvio si sta interessando molto) è assicurato, ma a parer mio la storia della letteratura ne può fare a meno.
H.F.

Anonimo ha detto...

La cultura «politicamente corretta» tende a risolvere e, se così si può dire, a sublimare il proprio imbarazzo di fronte ai Grandi Reprobi della letteratura. Due - forse i maggiori – sono Pound e Céline, ma non sono certo i soli a trovarsi in questa scomoda e, ancor più, incomodante situazione. Basti pensare agli altri collaborazionisti effettivi o presunti, dal norvegese Knut Hamsun ai francesi Pierre Drieu La Rochelle, Robert Brasillach, o ai tedeschi indiziati di un’adesione un po’ troppo convinta (anche se ritirata, per loro fortuna, prima che fosse davvero troppo tardi) come il grande Ernst Jünger .Tutti, come si vede, ufficialmente «di destra»; e della più raccapricciante sin qui esistita. Ma chi si sente di escludere che un analogo imbarazzo possano suscitare un giorno o l’altro, se già un po’ non lo stanno suscitando, Sartre o Aragon, Eluard o Neruda? Il comune senso della correttezza politica è sempre mutevole, restano da salvare le opere.

Homo Vulgaris

silviodulivo ha detto...

Non sono d'accordo con Homo Faber, invece mi sembra di condividere, se non ho capito male, quello che dice Homo Vulgaris. Liquidare chi è distante dalle nostre idee considerando zero la sua umanità serve a vivere meglio, facilita il nostro sistema di idee e costrutti mentali, ma è limitante, ci fa chiudere in noi stessi, ci impedisce di esser torturati dal dubbio e in fin dei conti non ci aiuta ad andare avanti, a progredire. La contraddizione di un Celine "contenitore di bene e male", come dice stranistranieri, non può essere cestinata con facilità.
Silvio

Anonimo ha detto...

E’ bene ricordare, per quel che può valere, che le scelte politiche apparentemente folli di Céline non avevano nulla di strano. Esse traevano origine da istanze molto diffuse tra la popolazione francese, i cui strati sociali medio-bassi e proletari (ma anche parte delle élite borghesi e culturali) manifestavano già da tempo una forte contrarietà nei confronti del capitalismo e del giudaismo. L’affaire Dreyfuss aveva contribuito ad alimentare sia l’astio nei confronti degli ebrei che a fare sorgere una forma di xenofobia legata a psicosi da complotto internazionale.
Alla luce di questi fatti non risulta quindi strano che anche una personalità eccellente e colta come Céline potesse - magari attraverso meccanismi e ragionamenti più complessi e raffinati - arrivare a mostrare simpatia nei confronti di movimenti politici nazionalisti e di chiara matrice fascista che, all’inizio degli anni Quaranta avrebbero finito per fiancheggiare e addirittura sostenere le orride ipotesi di soluzione finale propagandate dal nemico numero uno della Francia, cioè dalla Germania di Hitler. Sarebbe interessante una riflessione, forse mai avviata veramente, sul sostegno che tanti italiani (quanti?), semplici cittadini o fini intellettuali, seppero accordare al fascismo anche dopo l’emanazione delle leggi razziali del luglio 1938. Ma noi siamo bravi a rimuovere tutto.

Homo Vulgaris

Anonimo ha detto...

Non stiamo parlando di politica, e l’umanità non si identifica con la militanza in uno schieramento o nell’altro, ma nell’amore (o almeno la solidarietà, di sicuro non l’odio) verso i propri simili, che sono gli uomini di qualsiasi razza. Il fascismo non è patologico per le sue teorie economiche e sociali, che potrebbero anche tornare di moda, ma per la volgarità becera che ne costituisce l’ideale umano e che ripugna a chi ha un minimo di sensibilità. Il razzismo e il genocidio non sono di destra o di sinistra, ma riguardano la salute della psiche di chi li considera degli ideali (come Céline). Certe forme di relativismo buonista (tutti siamo un po’ buoni e un po’ cattivi, però, dice altrove Homo del '56, tutti i "lottacontinuatori" dovrebbero stare in prigione) non dovrebbero impedirci di avere delle opinioni. Del resto non affermo che tutto Céline sia da bruciare, ma che se ne può fare a meno, come si può fare a meno, per esempio e per altri motivi meno truci, del McEwan di Espiazione.

Anonimo ha detto...

Non sono d'accordo con Homo Vulgaris. Mi rifiuto di porre sullo stesso piano Sartre o Eluard o un Neruda con Céline. Per favore: non facciamo confusione!

Florentina

silviodulivo ha detto...

Per Anonimo "non stiamo parlando di politica, ecc.". Mi sembra che il tuo modo di ragionare tenda a annullare preventivamente qualsiasi discussione, qualsiasi dubbio, qualsiasi domanda, ponendo un postulato che esclude ogni forma di dibattito. E' un modo di ragionare che mi sembra castrante, che significa: io con te non ci parlo perché... (qualsiasi perché). Questo per quanto riguarda la parte etica.
E quanto al fatto che si possa fare a meno della letteratura di Celine mi sembra che sia come escludere dalla storia dell'architettura gli architetti che consideriamo amorali o i personaggi storici criminali (in questo caso i libri di storia sarebbero opuscoli)

Per Florentina. Bisognerà pur porsele delle domande e fare dei paragoni. E così Homo Vulgaris, alias Giovanni Raboni, si chiede se prima o poi le stesse domande che ci facciamo su Celine oggi non ce le porremo anche su Sartre. Il dubbo è legittimo. Riporto il pezzo originario di Raboni, di cui ho scoperto l'esistenza oggi grazie a HV, perché credo che tratti della stessa cosa di cui stiamo parlando noi.

Due episodi variamente remoti ma tuttora carichi, temo, di senso o insensatezza. Nel 1953 l’editore Guanda, benemerito diffusore in Italia, a quei tempi, della migliore poesia straniera contemporanea, pubblicò la traduzione integrale dei Canti pisani di Ezra Pound. La storia di questo capolavoro è fin troppo nota: Pound lo scrisse, appunto, a Pisa, in un campo di concentramento dove era stato rinchiuso subito dopo l’arrivo delle truppe alleate sotto accusa di alto tradimento per aver collaborato durante la guerra, lui americano, alla propaganda antiamericana del regime fascista; e Pound, nei Canti , non si smentisce né si discolpa. Non importa come la dolorosa vicenda sia finita; importa, ai fini di ciò che ho in animo di dire, che l’edizione italiana del poema uscì con una fascetta che diceva pressappoco così (cito a memoria e, dunque, con qualche rischio di inesattezza, ma sono sicuro sia del significato complessivo che dei termini essenziali): «Questo libro dimostra che anche con delle idee sbagliate si può fare della grande poesia». Secondo episodio. Nel 1981 lo stesso editore Guanda, passato nel frattempo in altre mani, pubblicò la traduzione italiana di Bagatelle per un massacro , il più famoso e famigerato dei famigeratissimi pamphlets anticomunisti, anticapitalisti, antisemiti, antitutto, scritti da Louis-Ferdinand Céline fra il 1936 e il 1941. Per essi, oltre che per una qualche (mai del tutto dimostrata) connivenza con gli occupanti tedeschi, Céline aveva subìto in Francia, finita la guerra, una dura condanna penale successivamente condonata. La comparsa del volume suscitò sulla nostra stampa reazioni molto violente. Fra le tante voci scandalizzate o addirittura orripilate (ma ce ne furono anche di intelligentemente pacate: per esempio, Piergiorgio Bellocchio su Panorama e Cesare Cases su L’Espresso ), una mi colpì in modo particolare: quella di Alberto Moravia, che in un elzeviro apparso su questo giornale si sforzò diligentemente di dimostrare che Bagatelle , oltre ad essere infame, era anche noioso e mal scritto. Se ho rievocato queste vecchie storie è perché mi sembra che esse riflettano tuttora i due modi più tipici con i quali la cultura «politicamente corretta» tende a risolvere e, se così si può dire, a sublimare il proprio imbarazzo di fronte ai Grandi Reprobi della letteratura. Sappiamo tutti, credo, di chi stiamo parlando. Due - forse i maggiori - li ho già nominati; ma Pound e Céline non sono certo i soli a trovarsi in questa scomoda e, più ancora, incomodante situazione. Basti pensare agli altri collaborazionisti effettivi o presunti, dal norvegese Knut Hamsun ai francesi Pierre Drieu La Rochelle, Robert Brasillach, Henri Montherlant, Paul Morand; o ai tedeschi indiziati di un’adesione un po’ troppo convinta (anche se ritirata, per loro e nostra fortuna, prima che fosse davvero troppo tardi) come il grande Ernst Jünger e il grandissimo Gottfried Benn. Tutti, come si vede, ufficialmente «di destra»; e della più raccapricciante sin qui esistita. Ma chi si sente di escludere che un analogo imbarazzo possano suscitare un giorno o l’altro, se già un po’ non lo stanno suscitando, Sartre o Aragon, Eluard o Neruda? Il comune senso della correttezza politica è più mutevole (o, per adattare un termine alla moda, «revisionabile») di quello del pudore. Ma torniamo ai due espedienti con i quali, negli scorsi decenni, si è generalmente cercato di liquidare il problema. Il primo consiste nel negare qualsiasi nesso tra il valore dell’opera e le idee dell’autore: in parole povere, Pound è stato un grande poeta, ma in fatto di politica, di economia, di storia ecc. non capiva nulla, era un irresponsabile, forse un folle; non bisogna badare a quel che dice, ma solo a come lo dice. Il secondo è, in un certo senso, ancora più sbrigativo: se uno scrittore pensa male deve essere per forza - almeno lì dove, o da quando, pensa male - un cattivo scrittore. Ergo: Céline, dopo aver scritto due capolavori come Viaggio al termine della notte e Morte a credito , è improvvisamente finito, e tutti i suoi libri successivi sono, oltre che da non leggere, illeggibili. Diverse, anzi opposte, le due posizioni hanno tuttavia qualcosa in comune: sono entrambe di matrice idealistica e sono entrambe, secondo me, radicalmente sbagliate. Una grande poesia, un grande romanzo, un grande dramma, insomma un grande testo letterario che non contenga, oltre e dentro la bellezza della scrittura, anche un nucleo di grandezza etica, un principio attivo di verità, è - a mio avviso - una contraddizione in termini; semplicemente, «non si dà». Ma bisogna, quella grandezza etica, quella verità, saperle trovare; e niente è più improprio che cercarle soltanto in quella che San Paolo chiamava la lettera (avvertendo, come nessuno dovrebbe ignorare, che «littera occidit, spiritus autem vivificat») e Roland Barthes il «grado zero» della scrittura. Le idee di uno scrittore contano, e come; solo che si nascondono - e, insieme, si rivelano - nelle sue metafore, nelle sue iperboli, nelle sue immagini, nello spessore materiale della sua voce. E allora? Allora rileggiamoli, i Grandi Reprobi di oggi e di domani; rileggiamoli badando non solo a ciò che dicono, né solo a come lo dicono, ma al continuo riversarsi e convertirsi dell’una cosa nell’altra, alla dialettica che essenzialmente e inesauribilmente si instaura tra forma e contenuto o, meglio, tra forma del contenuto e contenuto della forma, insomma all’infinita circolazione del senso in ogni fibra visibile e invisibile dell’indivisibile realtà testuale. E a quel punto, solo a quel punto, scopriremo forse che se il muro di Berlino, per la letteratura, non è ancora caduto è perché per la letteratura, forse, non è mai esistito.

silviodulivo ha detto...

(nel frattempo qualcuno si è ributtato sulla melagrana)
Silvio

Anonimo ha detto...

Non ho mai detto che i "lottacontinuatori" dovrebbero stare "tutti" in prigione, ho detto che dovrebbero starci tutti quelli che vi sono stati condannati, in via definitiva, da un Tribunale di questa Repubblica. O no? E quanta "umanità" c'era in quei "cattivi maestri" e nei loro discepoli più diligenti che hanno insanguinato il nostro Paese per oltre un decennio? ( e che avevano "eletto" Sartre e Neruda a propri numi tutelari)
Neppure ho inteso mettere sullo stesso piano niente e nessuno. Davvero, non facciamo confusione.
Ho letto "Morte a credito" tanti anni fa ( e quando dico tanti, v'assicuro che sono davvero tanti!), non sapevo nulla di Céline ma se in quel momento avessi saputo della sua fervida adesione ai movimenti filonazisti non lo avrei letto, e sarebbe stato un peccato (naturalmente ciascuno sceglie di fare a meno di quel che ritiene). Oggi non ho certo cambiato opinione su fascismo e nazismo ma ho imparato a discernere oltre gli schematismi di una volta, se così non fosse sarebbe davvero passato invano tutto questo tempo ( forse H.F è ancora piuttosto giovane) ed ho imparato a diffidare di quegli opinion-maker, rappresentanti della cultura "politicamente corretta", che propongono catalogazioni preconfezionate sulla misura, sempre mutevole, dei gruppi dominanti.
Hitler ha concepito il più grande e folle disegno genocida della Storia, ma l'antisemitismo non l'ha inventato lui: era già presente, da secoli, ed è tutt'ora presente. L'antisemitismo di Céline era preesistente al nazismo ed era diffuso nella socità francese. Ho ricordato, prima, "l'affare Dreyfuss" che scosse l'opinione pubblica francese alla fine dell'ottocento: si trattava di una montatura messa in atto dalla destra nazionalista, per battere la sinistra, proprio facendo leva sul diffuso sentimento antisemita della popolazione francese.
Amo la poesia di Neruda e quella di Rimbaud (sbaglio o aveva fatto anche il mercante di schiavi?) e domani andrò a ricercare in libreria "Morte a credito" per rileggerlo.

Homo Vulgaris

Anonimo ha detto...

Avevo notato in qualcuno la tendenza a scopiazzare senza citare le fonti. A volte invece di copia e incolla basterebbe l'indirizzo della pagina web.
Comunque vorrei precisare la mia posizione sull'argomento che stiamo trattando, una posizione che è soltanto mia e non deriva da opinionisti tuttofare. Non ho detto che di Céline si può fare a meno per il modo politicamente non corretto in cui si è schierato, ma perché secondo me, valutando la sua produzione letteraria, non è un grande scrittore. Allo stesso modo che non lo è il McEwan di Espiazione (mi è più che bastato e non ho letto altro) che ho citato proprio per evitare il sospetto che il mio giudizio fosse condizionato da valutazioni politiche o morali. McEwan non ha stile né contenuto quindi si liquida con facilità, ma perché, mi sono chiesto, non raggiunge il livello di grande scrittore Céline che pure dal punto di vista stilistico qualcosa (secondo me nemmeno tanto, come dicevo a proposito dei punti di sospensione che mi sembrano più un espediente che una risorsa) ha fatto? La risposta che mi sono autonomamente dato e che ho cercato di esporre nel blog, è la mancanza di umanità, che sarebbe dimostrata da una parte della sua produzione (e forse da tutta) non perché esprime una posizione politica detestabile, ma per l’odio viscerale verso gli esseri umani e probabilmente anche verso se stesso che incidentalmente ha trovato nel nazismo un buon terreno in cui essere coltivato. A questo proposito devo confessare di non aver capito la prima osservazione di silviodulivo. Gli dà fastidio quanto ho espresso sul fascismo e sul razzismo? Non è d’accordo sulla becera volgarità fascista? Per quale motivo invece di considerarle mie opinioni, come in effetti sono, vi vede dei postulati?
Volevo dire a proposito dei lottacontinuatori che se accettiamo un certo relativismo in funzione di ogni revisionismo possibile, possiamo ipotizzare anche per quei cattivoni un futuro regime che li elevi al rango di eroi. In altre parole non dovremmo esprimere opinioni su nessuno. Io invece mi sento di espormi condannando la loro violenza e chiamando Hitler criminale. Tornando alla letteratura, non considererei Sartre un grande scrittore (Neruda è un poeta, una razza a parte sulla quale non mi pronuncio, quindi nemmeno su Pound). Non ho dubbi che le sue idee politiche (di Sartre) possano essere un giorno considerate sbagliate. Però non ha mai incitato nessuno allo sterminio di razze o popolazioni e non è probabile che venga considerato un “malato”.
H.F.

silviodulivo ha detto...

Ma io dovrei fare il moderatore o partecipare alla discussione? Boh.

Homo Faber.
1) mi sembrava che il tuo "ne possiamo fare a meno" (di Celine) fosse dovuto alla sua adesione al fascismo. Invece è per motivi letterari. Bene, anche se non sono d'accordo (e si sapeva).
2)A me sembrava che il postulato che ponevi era questo: Celine era fascista, dunque: umanamente valeva zero, era psichicamente insano, si può fare a meno della sua produzione letteraria. Il fatto stesso che Celine possa essere accostato al fascismo esclude qualsiasi discussione. A me sembrava di capire questo, e su questo non sono d'accordo. Non siamo qui a discutere quello che è stato ed è il fascismo, tutti quelli che sono intervenuti hanno le stesse opinionia questo proposito. Qui si parla di uno scrittore considerato grande (anche se HF non è d'accordo non è importante in questo momento), il quale umanamente si è macchiato di certi delitti (di idee, non di azioni: non trasse mai vantaggi dalle sue opinioni, non fu mai inquadrato nel regime, era anche visto con una certa antipatia dai gerarchi a causa del suo nichilismo e pessimismo; questo è quanto ho letto), in contrapposizione ad altri momenti positivi (ho citato il fatto che lavorava gratis per i poveri).
3) Altro (rispetto al punto precedente) è discutere delle idee fasciste e fascistoidi (e relativi comportamenti) dei singoli intellettuali di destra o di sinistra (nel dopoguerra). E su questo mi sembra che abbia parlato bene Homo Vulgaris.

Che fatica! (capire e farsi capire)
Silvio

Anonimo ha detto...

Caro Silvio, sono gioie e dolori del blog!

Zizzania

Massimo ha detto...

...è curioso come, davanti a uno stesso autore, ci si possa porre in modi tanto diversi. E quante diverse interpretazioni si riescano a dare alle stesse parole.
Per esempio, a colpirmi nella scrittura di Céline è proprio la grande carica di umanità di cui H.F. lamenta l'assenza.
Potrei citare l'inizio di "Morte a credito", volendo spezzare una pagina in suo favore.

Quanto al suo valore letterario... Céline è stato un acrobata della parola, ha stravolto la frase, creato un linguaggio ritmico e sovvertito tutto quel che c'era da sovvertire. Non è poco.

E il Céline uomo... boh. Il "Viaggio al termine della notte" non sembra certo scritto da un filo-nazista. Ho letto anche le sue "Bagatelle", l'unica cosa che so dire al riguardo è che non ricordo di aver mai letto un insulto tanto lungo e articolato.
Credo comunque che giudicarlo non sia impresa tanto semplice: lui è stato abbastanza ingenuo da decidere di esporsi, altri non hanno reputato utile farlo... ma quel vecchio verso di Bob Dylan "e se potessero vedere i miei pensieri probabilmente metterebbero la mia testa in una ghigliottina" potrebbe valere per molti.
ciao!

Stranistranieri ha detto...

Acrobata della parola, appunto. E' quello che dovremmo volere da uno scrittore. Di persone perbene (?) che scrivono un "Caos Calmo" ce ne sono anche troppe. E ho detto tutto.

Anonimo ha detto...

Per cercare di capire l’esempio e non sapendo nulla di Caos Calmo ho cercato in Google ed ho trovato questa frase (dalla recensione de L’Indice): “Leggo Caos calmo di Sandro Veronesi e ho l'impressione, per molte pagine, di essere capitata in un romanzo di Ian McEwan”. Credo di aver capito cosa intendeva stranistranieri.
Sono d’accordo con Baxx: ognuno dà di un autore l’interpretazione che preferisce. Io non vedo un grande sovvertimento nello stile di Céline, che forse ha il grande merito di essere facile da imitare, ma questo non toglie che altri possano pensarla diversamente. Più difficile mi rimane accettare le altre considerazioni: un insulto che dura per tutto un libro non denota una grande carica di umanità, ma soltanto dei grossi problemi psicologici. Quanto alla supposta ingenuità e al coraggio di esporsi, altri sullo stesso blog hanno affermato che le sue idee razziste, che dopo la guerra ha cercato di rimangiarsi, credo, rappresentavano l’espressione di sentimenti molto diffusi in quel periodo.
Ma vorrei tornare alla domanda di partenza (di Silvio): i grandi scrittori sono grandi persone? Io risponderei di sì e non mi creerebbe disagio Céline che per me non è né un grande scrittore né una grande persona (i grandi scrittori sono pochi, intendiamoci, e le grandi persone non sono le persone perbene di cui parla stranistranieri). Coloro che rispondono sì, se considerano Céline un grande scrittore dovrebbero anche considerarlo una grande persona. Se rispondono no (o meglio: anche no), ovviamente i due giudizi sono indipendenti. Credo che su questo bisognerebbe esporsi.
H.F.

Massimo ha detto...

Certe idee all'epoca erano ampiamente diffuse e condivise, ma in genere ci si guardava bene dall'esporsi più dell'indispensabile. Finita la guerra, di antisemiti eran rimasti giusto lui e quattro strapelati, gli altri si eran già riciclati tra le fila dei giusti. Cèline, appesantito dai suoi pamphlet, aveva ben poco da riciclare.
Per fare il nome di un buono, della militanza di Günter Grass nelle SS si è saputo solo di recente. Sarà anche stato solo un sedicenne, come sostiene... ma, se non avesse nulla di cui vergognarsi, ne avrebbe parlato prima.

L'arte è l'espressione più elevata dell'animo umano, ma che in esso alberghino e allegramente convivano le sue miserie non è un mistero per nessuno. Rimbaud è stato una grande uomo? Nella sua città è ricordato come "esploratore". I vizietti di Socrate ne sminuiscono i concetti? Pare che Charlie Chaplin fosse una sorta di depravato, Charles Bukowski un posatore, Elvis un delatore. Caravaggio, poi, quanto a ribalderie non si è fatto mancar nulla. Gli uomini, a volte, è attraverso l'arte che trovano il proprio riscatto.
Non so cosa pensare del Céline uomo, sinceramente. Fatico a capire cosa ci sia dietro "Bagatelle" e gli altri pamphlet, in cui si fa portatore di idee apparentemente in contrasto con quelle dei primi romanzi. Non mi sento nemmeno di credere fino in fondo alla loro sincerità, per la carica grottesca che pervade tutte le pagine incriminate.

Per quel che mi riguarda lo considero il più grande tra gli scrittori del nostro tempo, ma non fatico a comprendere le ragioni dei suoi detrattori. Questo non implica che lo consideri anche un grand'uomo... mi piace pensare che, a modo suo, abbia fatto del suo meglio per esserlo. Questo sì. E tanto basta a rendermelo simpatico.

silviodulivo ha detto...

La risposta alla domanda iniziale, dopo aver letto la serie di interventi interessantissimi che si sono succeduti, non l'ho ancora trovata. La prima cosa che mi viene da pensare è che non rimaniamo sempre gli stessi nel corso della vita, e così il Celine medico dei poveri non è il Celine razzista, e il Grass diciassettenne "nazista" non è il Grass scrittore, eccetera. La seconda è che se si hanno delle forti qualità umane queste qualità entreranno nella scrittura e la renderanno più potente. La terza è che naturalmente stiamo schematizzando: non esistono i grandi scrittori e i grandi uomini contrapposti ai piccoli uomini e i piccoli scrittori (esiste un continuum tra i due poli opposti, in entrambi i casi). Mi sembra però difficile trovare una relazione diretta fra i due elementi (grandezza letteraria e grandezza umana) tale per cui al crescere dell'una cresce l'altra.
Silvio

Anonimo ha detto...

Ammetto che se Günter Grass e Charles Bukowski (Elvis non so chi sia) sono grandi scrittori lo è anche Céline. Sull'altro versante, quello delle grandi persone, c'è una differenza a parer mio sostanziale fra avere dei vizietti ed esprimere per tutta la vita un odio profondo per l'umanità, producendo delle opere che non sembrano avere altro scopo che tale espressione. Ripeto, a parer mio; poi volendo si può giustificare tutto.
H.F.

silviodulivo ha detto...

Ma un esempio uno di grande scrittore lo può fare Homo Faber?
Silvio

Massimo ha detto...

H.F., veramente il mio voleva essere un discorso diverso. Non cito Grass in quanto grande scrittore, ma in quanto ex-militante di una sezione delle forze armate tedesche... cosa che ha delle implicazioni ben precise. Quando è stato il momento si è riciclato, come lui altri.
Elvis è Presley, Bukowski lo cito perché è famoso e perché è uno dei pochi di cui ho sentito qualche pettegolezzo in negativo... in realtà tendo a interessarmi poco delle vicende personali di chicchessia.
Insieme a loro sono citati altri che con la scrittura non hanno nulla a che fare e il senso è: prendi un uomo, scava nella sua vita e in molti casi non ne verrà fuori granché di buono.
Poi sai, non mi interessa convincere nessuno delle capacità di Céline, che non ti piace si è capito e lo rispetto... credo che tu sia un pò prevenuto verso di lui, questo sì, ma potrei pure sbagliare. Lo dico solo perché affermare che lui abbia espresso solo "un odio profondo verso l'umanità" è un modo un pò troppo sbrigativo di liquidare un'opera complessa come il "Viaggio al termine della notte", ad esempio.
e... bè, a questo punto sarei curioso anch'io di sapere qual'è il nome di un grande scrittore, ciao!

Homo Faber ha detto...

Per restare in Francia proporrei Proust.

Stranistranieri ha detto...

H.F. giura che hai letto Proust. Giuralo!

silviodulivo ha detto...

Giuralo, e poi fammi un nome di un grande scrittore che sia nato nel Novecento o che almeno abbia visto la seconda guerra mondiale. Fammi contento, dai
Silvio

Homo Faber ha detto...

Giurare mi sembra un po' infantile. Ho letto la Recherche, I piaceri e i giorni e le lettere.
Per Silvio: Alfred Döblin.

silviodulivo ha detto...

Bene, lo leggerò quando avrò smaltito i libri già comprati.
Silvio

brinciu ha detto...

Probabilmente, visto che ben tre anni sono passati, il mio commento cadrà inascoltato, ma voglio provare, in poche parole, a dire la mia.
Céline secondo me è un grande scrittore e un grande uomo, grande al di là del bene e del male, grande per la sua sensibilità e per la sua passione.
Chi dice che dai suoi libri viene fuori solo odio per l'umanità, non ne ha percepito l'immenso amore, e la delusione che si trasforma in livore, per l'uomo che continua, nonostante tutto ad abbruttirsi.