giovedì 26 giugno 2008

Maria Corti - L'ora di tutti

Gli scrittori danno il meglio di sé quando si immedesimano in un uomo? E viceversa: le scrittrici raggiungono il proprio apice quando il protagonista è una donna? Questo eccellente libro, L'ora di tutti, della scrittrice e critica letteraria Maria Corti, sembra confermarlo. Cinque personaggi, uno per capitolo, che raccontano lo stesso episodio: l'invasione dei turchi a Otranto nel Quattrocento e la presa della città. Cinque punti di vista diversi, cinque racconti perfetti, ma sopra di tutti il capitolo nel quale parla in prima persona una donna, Idrusa.
"Il soggetto è storico: la presa da parte dei Turchi, nel tardo Quattrocento, della cittadina pugliese d'Otranto. Ma io, più che il soggetto, lo chiamerei lo sfondo, tutt'altro che decorativo ma vivo e vero nel suo tumultuare di galeoni, di scimitarre e di bombarde, se non addirittura un felice pretesto, tanto per dar motivo alla mano, e soprattutto all'estro e al cuore, di muoversi e rappresentarci una delle più belle Romanze, nel senso antico e nobile della parola, da noi apparse: una storia la quale non tocca tanto l'epica esteriore dell'avvenimento, bensì, l'altra, quella molto più nascosta ed intima di Coloro, uomini e donne che ne furono i concreti protagonisti: gli Eroi, per tornare alle definizioni enfatiche, e i Martiri. La Corti, con l'udito fino di chi è mosso da amore, ha saputo ascoltare alcune di quelle 'antiche voci' (di quelle brillanti giovinezze, di quelle vite), del resto identiche alle figure d'oggi, e in altrettanti racconti in prima persona, concatenati dal motivo conduttore della battaglia, è riuscita a comporre uno spartito musicale tra i più affascinanti, dove l'intera Terra d'Otranto 'suona' vivissima non solo nella sua realtà storica di allora, ma in quella, anche geografica ed etnica, d'oggi e di sempre. Una Terra d'Otranto che appunto per la sua concretezza diventa poeticamente la terra delle passioni più vere, e dei più genuini sentimenti dell'intera umanità nostra".(Giorgio Caproni, "La Nazione", 30 gennaio 1963)

18 commenti:

Anonimo ha detto...

Non sarebbe il caso che il D'Olivo desse una motivazione personale al post?

silviodulivo ha detto...

Cioè?

Anonimo ha detto...

Se dell'assedio di Otranto non glien'è fregato niente a nessuno per oltre cinquecento anni (compreso gli storici)perchè pensa che possa interessare a noi? Stiamo ancora digerendo le chiocciole e i soffritti di HF...
E' ora di finirla con questi post da TG1!

silviodulivo ha detto...

Ma che ne sa Homo vulgaris di storia! E di letteratura! Forse qualcosina di soffritti...

Homo Faber ha detto...

Condivido il profondo interesse di HV per l'assedio d'Otranto. Ma forse quello della Corti è uno di quei libri che hanno fatto sì che Silvio diventasse quello che è. Mi indigna comunque che si mettano in relazione i miei soffritti (in senso figurato perché io ho parlato di umido, arrosto e alla brace) con il TG1, se era questa la perversa intenzione del perverso
HV.

Anonimo ha detto...

Assolutamente no. Rassicuro HF. Sulla ricostruzione storica tornerò sul tardi, perchè ora devo uscire, e si capirà in quali pasticci il D'Olivo va a cacciarsi senza averne la più pallida idea.
Io cerco solo di dargli una mano, ma diventa ogni giorno più difficile.

Anonimo ha detto...

quello di sopra

silviodulivo ha detto...

Io con questi Homines non ci capisco nulla. Ora c'è anche l'Homo Faber che si firma HV.
I miei lettori son tutti sconcertati. Anche Viola è sparita. Che ne sarà di me?

Homo Faber ha detto...

Ma dai silviodulivo, aguzza l'ingegno. Se la frase finisse con "perverso" ci sarebbe il punto dopo, e se "HV" fosse la firma non ci sarebbe il punto dopo. "del perverso HV" è sintagma preposizionale e nel soggiacente sintagma nominale "perverso" è l'aggettivo che modifica il nome "HV". Perché "HV" sia a capo lo sa iddio, ammesso che lui almeno capisca qualcosa di questo blogghe.
Però la scomparsa di Viola preoccupa anche me: cosa sarà di lei?

Anonimo ha detto...

Più che di Viola, in questo momento mi preoccupo di Homo Faber: è sicuro di sentirsi bene? Tutto a posto..? il sintagma nominale, va bene? Spero di si. Comunque, veniamo a noi:la ricostruzione storica dell’assedio di Otranto assomiglia molto alla ricostruzione dell’albero genealogico del D’Olivo: pochi elementi attendibili e molta suggestione, tanta ostinazione nel D’Olivo quanto disinteresse negli storici. Quel che si sa per certo (o quasi) è che la mattina del 28 luglio 1480 un bel po’ di navi (chi dice 70, chi addirittura 200), salpate da Valona, approdò sulle coste del Salento portando un numero di soldati compreso fra i 18.000 e i 100.000 (e qui la forbice farebbe impallidire persino i nostri esperti dell’exit poll). Molti concordano sul fatto che fosse Brindisi la vera meta, ma la spiegazione che un’improvvisa tramontana (siamo a fine luglio nel Canale di Otranto!) avesse potuto dirottare l’intera flotta non è molto credibile. Ma chi se ne frega.
Non si sa neppure quanti abitanti avesse, allora, Otranto: stando ai tanti numeri che ballano in questa storia si va da 1200 a 20.000 (inverosimile). Incertezze e perplessità anche sull’obiettivo di quella campagna, chi dice fosse quello di dare una lezione a Ferrante di Napoli e chi dice che Maometto II (il Sultano che ordinò la spedizione) puntasse dritto su Roma da cui partire per la conquista e l’islamizzazione dell’Europa. Fatto sta che nell’ottobre dello stesso anno, Ahmed Pasha (il comandante della spedizione) se ne ritornò a casa col grosso della flotta lasciando ad Otranto solo un manipolo di soldati. Perché?
Ritornando all’assedio: pare che i pochi soldati di Ferrante, a difesa della città, se la squagliarono nottetempo e i pochi abitanti rimasti, pescatori e contadini, si rifugiarono nel Castello e respinsero, sdegnati, la proposta di resa che Ahmed Pasha rivolse loro, in cambio della vita. Il Castello fu espugnato e fu il massacro.
Come sempre accade, sul vuoto di indagini storiche serie arrivano, come vampiri, i demagoghi a costruir leggende, ed ecco arrivare i demagoghi della cristianità costruir la loro, e su di essa nuove chiese. (Il D’Olivo e la Corti sono fra questi?)
Qui nasce la leggenda degli ottocento martiri “cristiani”, né uno di più né uno di meno, ottocento esatti: tutti gli uomini dai quindici anni in su. Al contrario della vicenda storica, degli ottocento “martiri” si sa tutto, nome e cognome, paternità e maternità. «Girava intorno ai cristiani un turco importuno con alla mano una tabella vergata in carattere arabo. L'apostata interprete la presentava a ciascuno e ne faceva la spiegazione, dicendo: Chi vuol credere a questa avrà salva la vita; altrimenti sarà ucciso. Ratificarono tutti la professione di fede e la generosa risposta data innanzi: onde il tiranno comandò che si venisse alla decapitazione, e, prima che agli altri, fosse reciso il capo a quel vecchio Primaldo, a lui odiosissimo, perché non rifiniva di far da apostolo co' suoi. Anzi in questi ultimi momenti, prima di chinare la testa sul sasso, aggiungeva a' commilitoni che vedeva il cielo aperto e gli angeli confortatori; che stessero saldi nella fede e mirassero il cielo già aperto a riceverli. Piegò la fronte, gli fu spiccata la testa, ma il busto si rizzò in piedi: e ad onta degli sforzi de' carnefici, restò immobile, finché tutti non furono decollati. Il portento evidente ed oltremodo strepitoso sarebbe stata lezione di salute a quegl'infedeli, se non fossero stati ribelli a quel lume che illumina ognuno che vive nel mondo. Un solo carnefice, di nome Berlabei profittò avventurosamente del miracolo, e, protestandosi ad alta voce cristiano, fu condannato alla pena del palo».
Il Primaldo, o Grimaldo, cioè il primo a cui toccò perder la testa, si chiamava Antonio Pezzulla: “L’intrepido capo di quel battaglione non si spaventa e, rivolgendosi ai suoi concittadini:
“Fratelli –esclamò- avete ascoltato a quale prezzo ci viene proposto di comprare gli avanzi di questa misera vita. Fratelli miei, fino ad oggi abbiamo combattuto per difendere la patria, ora è tempo di combattere per salvare le anime nostre per nostro Signore, quale, essendo morto per noi in Croce, conviene che noi moriamo per Lui stando saldi e costanti nella Fede: e con questa morte temporale guadagneremo la vita eterna e la corona del martirio”.
Le parole di Antonio Primaldo caddero sull’animo degli Ottocento come carboni accesi e trasformarono il Colle della Minerva in ara santa del Signore, ove “non vitelli o giovenche” dovevano immolarsi, ma figli di Dio.

Si videro scene bellissime e commoventi: figli implorare la benedizione dai genitori; genitori incoraggiare i figli ad affrontare la morte; pensieri di felicità, teneri abbracci. Sembrava una festa: in tutti si rivelava una viva ansietà di subire il martirio che Agomat fissò per il 14 di Agosto giorno di Lunedì e vigilia di Maria Assunta in Cielo.

L’orrenda carneficina ebbe inizio dal prode e valoroso Primaldo, decapitato per primo. Il suo tronco però –nonostante gli sforzi dei turchi per abbatterlo- rimase in piedi, ritto: cadde, quando la scure ottomana staccò il capo all’ultimo degli Otrantini.
A tale prodigio il carnefice Berlabei si convertì al cristianesimo e fu condannato alla pena del palo.
D’allora in poi quella collina, bagnata dal sangue di tante vittime, lasciato il suo nome pagano, prese quello di Colle dei Martiri”.
Forse il D’Olivo è troppo giovane per ricordarsi delle pecorelle che apparivano in televisione, sormontate dalla scritta “Intervallo”, quando c’era un buco nelle trasmissioni: perché non riprenderle in considerazione?

Massimo Albanese ha detto...

A proposito del libro di MAria Corti, mi farebbe piacere che leggeste il mio pensiero al seguente indirizzo.
http://polpievolpi.blogspot.com/2008/12/la-maledizione-letteraria-di-casole.html

Ciao a tutti
Massimo Albanese

Anonimo ha detto...

io volevo sapere la storia di nachira trattato inquesto libro....siccome dovrei fare una recensione volevo sapere l'analisi di questastoria e l'analisi specifiche del personaggio.

Anonimo ha detto...

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