(3 - continuazione)
III L’ABISSO
Mi pento di essere venuto in campagna, e per non essere frainteso devo precisare: a parte le vicissitudini coniugali. Il motivo primo che mi ha spinto a farlo è stata l’illusione di sfuggire al clima torrido e umido che rende invivibile la città in questo periodo, ma il caldo che sto soffrendo qui non ha niente da invidiare all’afa cittadina. L’unico mio rifugio è questo pergolato, popolato tuttavia da fantasmi che offendono la mente e negano ristoro al corpo, senza che mi sia dato d’invenire una condotta adeguata ad affrontarli. I miei pensieri, reputati un tempo i più fedeli alleati, sono armi dalla lama ottusa; la ragione, tanto esaltata dai filosofi, serve solo a giustificare azioni abominevoli con le loro conseguenze nefaste; la cultura, deputata ad affinare il giudizio, è niente più che nostalgia di epoche tramontate. Non so come potrò riprendere il cammino, in qualsiasi direzione esso si dipani, poiché dopo quanto è successo non mi è consentita ormai un’esistenza che scorra nei canali consueti del vivere comune, né tornerò a sognare, quando la realtà ha raggiunto e superato le più ardite fantasie, né seguiterò per la strada appena imboccata, ostruita in via definitiva da ciò che ieri è accaduto.
Un buon pranzo e un’ottima fumata, e poi ho lasciato la pergola per salire in camera, desideroso di ritrovare le emozioni tanto sconvolgenti del giorno prima, munito di sentimenti artificialmente preparati che me ne avrebbero consentito la fruizione. Entrando nella camera ho visto negli occhi di Lucrezia, che non dormiva e mi stava aspettando, di nuovo del terrore ma non un terrore spontaneo, come se anche lei, desiderando che si ripetesse il rito profanatorio nel quale era la vittima consenziente di un torturatore poco convinto, avesse predisposto i suoi sentimenti allo steso modo di chi assiste alla proiezione di un film dell’orrore ed è preparato al soprassalto. Di nuovo l’ho colpita, di nuovo l’ho spogliata strappandole gli abiti di dosso, e non è rimasta che la carne, debole e rassegnata, disposta a subire con stanchezza la violenza artefatta e bonaria di un carnefice che si scusa con il condannato per il tormento al quale il suo dovere gli impone di sottoporlo. Ma poi c’è stato il momento in cui le mie mani si sono strette con gesto disperato intorno al suo collo, offerto e fragile, ed ho sentito sotto le mie dita la pelle soffice a coprire una cartilagine cedevole e facile da spezzare. Per un attimo è stata autentica la mia volontà di colpire e ferire, da lei percepita tanto chiaramente che il suo terrore, palese negli occhi sbarrati, è divenuto sincero quanto il mio odio, mentre il suo corpo era percorso da un brivido violento come per una scossa elettrica, come albero percosso dal fulmine. Ci siamo trovati uniti in un orgasmo convulso e le mani hanno allentato la presa, non so grazie a quale istinto di salvamento, non senza lasciare sulla pelle le tracce della pressione. Poi siamo rimasti lì, inerti ed accasciati, due burattini ai quali, una volta calato il sipario, siano stati sciolti i fili, e di reale in noi non c’era che il sudore dei nostri corpi. Mi chiedo adesso cosa ci rimane, quale sarà la prossima tappa, e non voglio una risposta, non voglio che ci sia una tappa ulteriore, perché ne ho paura.
Stamani ho vagato a lungo per la campagna, prima che sorgesse il sole, quando già avevo rinunciato alla speranza di trovare nel sonno un po’ di tregua alla mia angoscia, e sono giunto al lago, se così si può chiamare quella grossa pozza artificiale. Lago lo chiama la gente del vicino villaggio, che odia quel posto ed evita perfino di parlarne da quando un tale, non per nulla soprannominato il Matto, vi è annegato, senza che si sappia se per incidente o atto volontario. Mi sono seduto vicino al bordo e sono rimasto là per non so quanto tempo, immobile ed assorto, fino a che un sole cocente non mi ha costretto ad alzarmi per un ritorno penoso, ma durante il quale ho espulso insieme al sudore la malinconia ed ogni pensiero funereo.
Dopo un lauto pranzo, cotolette di agnello a scottadito il piatto forte, che ha confermato nel nostro ospite una innegabile e squisita attenzione per la tavola e nella donna che cura la casa e sembra riparare a tutto delle ottime doti culinarie, sono tornato qui a scrivere, ma non posso scacciare dalla mia mente l’immagine ossessiva del lago. È vero che l’impressione che se ne riceve è sgradevole, soprattutto per le sponde di sterrato che lasciano figurare un fondo melmoso, ma ciò non inibisce il fascino inusitato che su di me esercita. Se chiudo gli occhi rivedo quelle acque così calme e nello stesso tempo così minacciose, ne subisco l’attrazione funesta, odo il richiamo imperioso e ineludibile del fondo che non ho neppure visto, ma che mi fingo nel pensiero, quasi il mio corpo fosse già stato una volta, in tempi remoti, imprigionato in quella massa fangosa, privo di vita cosciente.
So che Lucrezia in questo momento mi sta aspettando, consapevole del pericolo che correrebbe se ripetessimo l’esperienza erotica, e per ciò ancor più eccitata, ma non salirò da lei. Questi due ultimi giorni sono stati forse gli unici della mia vita che ho vissuto davvero, ma non ho il coraggio di continuare: avendo intravisto il sentiero che il mio destino ha tracciato, al pari di un eroe greco lo seguirò.
Meccanicamente, senza rendermi conto, ho posato la pipa per terra, lasciando che si spengesse.
(continua)
2 commenti:
Il Sangue dell'agnello lava
Apocalisse 7:9-14: “Dopo queste cose guardai e vidi una folla immensa che nessuno poteva contare,
proveniente da tutte le nazioni, tribù, popoli e lingue, che stava in piedi davanti al trono e davanti
all'Agnello, vestiti di bianche vesti e con delle palme in mano. E gridavano a gran voce, dicendo: «La
salvezza appartiene al nostro Dio che siede sul trono, e all'Agnello». E tutti gli angeli erano in piedi intorno al trono, agli anziani e alle quattro creature viventi; essi si prostrarono con la faccia a terra
davanti al trono e adorarono Dio, dicendo «Amen! Al nostro Dio la lode, la gloria, la sapienza, il
ringraziamento, l'onore, la potenza e la forza, nei secoli dei secoli! Amen.
Poi uno degli anziani mi rivolse la parola, dicendomi: «Chi sono queste persone vestite di bianco e da
dove sono venute?» Io gli risposi: «Signor mio, tu lo sai». Ed egli mi disse: «Sono quelli che vengono
dalla grande tribolazione. Essi hanno lavato le loro vesti, e le hanno imbiancate nel sangue
dell'Agnello”.
Secondo me, a parte il tributo concesso alla fantasia tipica maschile del "adesso ti faccio vedere chi sono io", trovo che la furia erotico-culinaria, nella camera sopra il pergolato, sia resa in una forma leggibile e godibile. Finalmente!
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