mercoledì 25 febbraio 2009

Un giorno (anonimo)

Un giorno di mezza settimana parcheggio davanti ad un palazzone: dovevo andare a pagare un bollettino postale. Non si iniziava tanto bene la giornata.

L'auto appena lavata, trovo questo parcheggio tra le due classiche strisce blu, a lisca di pesce. E ti pareva che non dovessi pagare per andare a pagare... La giornata già cupa (per il mio morale), si infittisce sempre di più. Di quanto tempo avrò bisogno alla posta, trenta minuti, mah... sicuramente in quindici ho fatto, però non si sa mai, meglio pagare qualcosa in più adesso che prendere una bella multa dopo.

Inserisco la moneta che fa un triste suono metallico nella macchinetta/mostro mangiasoldi e vado nell'ufficio postale. Con un'ora di parcheggio, sono pronto a tutto: difatti 3 minuti dopo essere entrato, sono già fuori. Mapporca puttana! Va bene, un euro buttato al vento.

Mi dirigo verso l'auto appena pulita, certamente non più allegro di prima, ma mi beo della

carrozzeria così luccicante e perfetta, aahh che bel profumino, nell'abitacolo, poi, guarda

che parabrezza perfettamente trasparente: sembra un cristallo di Murano, un'opera d'arte.

Finalmente mi posso rilassare un po', visto che ho anche tempo a disposizione per il parcheggio.

Un minuto di silenzio perfetto, che bellezza, provo a sentirmi un "signore", quando arriva

la classica automobile che mette la freccia (o indicatore di direzione) facendomi segno di

uscire e di non perdere tempo, ché é in mezzo alla strada. Che palle! E va bene, andiamo.

Faccio per mettere in moto quando sopra la mia fronte vedo un movimento, fuori dal cristallo di Murano. Il tempo si ferma, guardo attonito, terrorizzato e incuriosito, il movimento é, in pratica, un oggetto che sta cadendo, e il tempo, a mio parere, si ferma per dare modo a me di realizzare lentamente che la distanza tra il mio cofano perfetto, pulito, luccicante e quell'oggetto, si sta riducendo sempre più.

Aiuto quella... quella cosa sta cadendo proprio lì, ma perché a me, proprio a me. Io che stavo già pensando di donare il mio biglietto del parcheggio valido per altri 52 minuti al rompicoglioni qui dietro, così, tanto per fare una buona azione.

E guarda la natura, il destino, come mi ripaga: speriamo che la storia della

cruna dell'ago e del suo cammello sia vera, perché prima o poi dovrò essere risarcito in

qualche modo! Vacca boia, no, no, noooo, buuum, il bastardo oggetto, la sua prima molecola più vicina al cofano perfettamente lucido della mia auto, entra in contatto alla prima molecola luccicante e perfetta e appena lavata con il resto delle molecole che, grazie alla fisica, unite una all'altra formano il cofano e dal contatto si sprigiona una energia tremenda che provoca il boato.

Non vedo più niente, buio.

Riapro gli occhi: quanto sarà passato, un giorno, due, mesi, anni, il mondo sarà cambiato,

nel frattempo?

Scendo dall'auto e raccolgo l'oggetto: un foglio di carta da lettere appallottolato, volato giù da quel palazzone, chissà da quale piano, di certo, il pazzo che l'ha lanciato vivrà in

un appartamento in corrispondenza del parcheggio dove ho messo l'auto. Pulita, perfetta,

luccicante, profumata...

Entro in macchina con il corpo del reato della maleducazione altrui, con l'intento di leggere e vedere se tramite qualche indizio riesco a capire chi ha fatto una cosa così pericolosa per andare a redarguirlo che non é educazione lanciare la roba dalla finestra.

L'automobilista intanto mi spietta, al che gli dico che non rompesse i coglioni e lo mando

affanculo, perché ho pagato e il biglietto mi da il diritto di stare lì, parcheggiato, altri

quarantanove minuti. Ecco.

Mi metto a leggere.

Il foglio é scritto bene, al computer, bella impaginatura, non c'é che dire; scorro le prime

righe e controllo attraverso il parabrezza se per caso qualcuno si affaccia ad un balcone,

voglio proprio vedere che faccia hai, caro il mio teppistello da strapazzo.

Oh, questa é bella, il foglio parla di questo signore che ha trovato un foglio, rincasando,

uscendo dall'ascensore. Senti senti quanto c'ha ragionato sopra questo bischero su un foglio scritto a penna.

E si chiede se ha fatto bene o male a raccattare quel pezzo di carta che di

certo é di qualcuno. Me lo vedo, lì con quelle mani rapaci di chi getta senza coscienza

alcuna, oggetti pericolosi dalla finestra, in un giorno dove le persone devono pagare

bollettini postali. Davvero senza pietà per il prossimo.

Ma andiamo avanti, leggiamo, lo immagino entrare quatto quatto in casa con la schiena ricurva di chi si sente in colpa per qualcosa e si guarda intorno per vedere che non ci siano testimoni che possano incorparlo del suo crimine. Ladro.

Leggo che si sta chiedendo se per caso la lingua in cui é scritto il foglio non é per caso

l'arabo. Se per caso non si tratta di un piano di terroristi arabi, o forse se non é il

compito a casa del bambino che abita nell'appartamento accanto... Eh! Bell'accostamento,

non c'é che dire, caro attentatore dell'incolumità altrui e dell'altrui automobili

perfettamente pulite lucide e profumate. Certo, che t'aspetti, di sicuro é un delinquente.

E poi, guarda qui che non t'ha tirato fuori da un misero fogliettino ritrovato sul

pianerottolo questo "poooeta", due pagine intere di riflessioni, congetture e meditazioni.

Certo, un indizio lo trovo anche subito, senza finire di leggere: di sicuro non hai granché

da fare, sarai, caro il mio teppistello, un impiegato con il computer davanti e una pila

di pratiche da espletare. Di sicuro.

E guarda qui, non saluta i vicini, eh? Personalità distorta, timidezza, anzi, direi, doppia personalità, magari tocca le maniglie delle porte con i guanti e va in giro con la mascherina da "chirurgo": forse é Michael Jackson! No, non é possibile, di sicuro egli non conosce l'italiano.

Ah, vorrebbe andare a suonare il campanello per restituire il misterioso foglio... Ma cosa vai a disturbare la gente perbene che a quell'ora mangia, molestatore della serenità sociale (e specialmente della mia). Toh, dopo aver pensato e scritto ipotesi pregiudizievoli sulla lingua del foglio, ora, si rende conto che forse non é scritto in arabo e non sa neanche se é scritto da un bambino. Vuoi vedere che alla fine il manigoldo si accorge che non ha un bambino come vicino di casa, anzi, non ha vicini di casa, anzi, non vive in un palazzo ma in una villetta unifamiliare a baiadera. No, non é possibile, il malandrino deve vivere nel palazzo e quindi ne é consapevole.

Ma c'é qualcosa che mi suona, nella testa, é come un campanellino lontano, é come se qualcuno mi volesse far notare qualcosa a cui non ho dato la dovuta importanza... boh.

Proseguiamo, ma guarda tu quante congetture, di sicuro ha dovuto anche meditare per tirar fuori tutte queste elucubrazioni. Allora non può essere un impiegato qualsiasi, a meno che... a meno che non sia un impiegato pubblico. E magari protetto dai sindacati. Sindacato rosso, di sicuro: un comunista! E forse, anche drogato. Sì, con tutto il suo tribolamento a causa di un semplice fogliettino...

Arriviamo alla fine del manoscritto, ma che finale é, questo non é normale, tutto questo "puzzo", il rischio di rovinare una persona per finire così, né carne né pesce, a metà. Non ha preso una decisione, se ne sta in panciolle in poltrona a fregarsene di tutto di sicuro con la sua conotta bucata e sporca di sugo (chissà che rutti).

Mah, riguardo con occhio clinico la facciata del palazzo, le finestre, i balconi, i piccioni. I piccioni? Noooo SPLAT! Sul cristallo di Boemia mi arriva la cacca di piccione che mi scuote come un elettroshock. Il campanellino lontano diventa la colonna sonora di uno spot rivelatore: si apre il sipario, e vedo l'impiegato pubblico che guarda assonnato lo schermo del computer, stando bene attento a non muovere la catasta di documenti da espletare vicino a lui. Comunista. Che ha libero accesso alla droga e alla mascherina da chirurgo. Lavora alla USL, é comunista e sicuramente drogato, altrimenti non potrebbe assolutamente competere con me a tennis: Silvio D'ulivo! Vagabondo....

Anonimo

venerdì 20 febbraio 2009

Scrivere, non scrivere / 2

... e poi bisognerebbe smettere di leggere. Sembra che funzioni. Ho letto molte interviste a scrittori nelle quali affermano di non leggere mentre scrivono. E invece ti viene voglia di leggere un autore, poi un altro, un altro ancora. E le loro scritture ti distraggono. Ti viene voglia di imitarli. Alcuni ti costringono all'imitazione. Per me Thomas Bernhard è deleterio: se lo leggo lo imito.

Ecco, sì: smettere di leggere. Funzionerebbe. Ma si può?

domenica 15 febbraio 2009

pubblicare

Pochi giorni fa ho preparato molti pacchetti. Sulla prima pagina ho scritto il titolo del libro, Repetita, e i miei recapiti. Sulla seconda una breve nota sul romanzo e su di me. Poi il primo capitolo e il secondo, in versione integrale. Poi sunti degli altri capitoli. In tutto undici pagine. Ho cercato su internet gli indirizzi delle case editrici che publicano narrativa. Ne ho scelte alcune famose, altre piccole. Ho imbustato i pacchetti e li ho spediti. Me ne sono rimasti ancora cinque, li spedirò la prossima settimana.
Forse non è il metodo migliore per farsi pubblicare. Forse non risponderà nessuno. Forse ho buttato via una manciata di euro. Ma ho bisogno di togliermi un peso. Quello che ho fatto ho fatto, e non voglio più metterci le mani. Potrei continuare a correggere per anni, a modificare, a tagliare, ad aggiungere: non smetterei mai. Ho messo un punto e ho spedito via tutto. Forse mi servirà. Potrò cominciare a scrivere altre storie, altri luoghi, altre persone.

venerdì 6 febbraio 2009

Scrivere, non scrivere

Un romanzo, un altro consigliato da un'amica, i racconti di, l'autore che non ho mai letto, la critica, il quotidiano tutti i giorni, le riviste tutte le settimane, le correzioni delle bozze, gli editori, gli altri hobby, un po' di sport, il lavoro, i viaggi, le foto, un sonnellino, un film, facebook, il blog, l'amore, il teatro, la spesa, la casa, le cene...
Basta. La voglia di dire: basta. Via tutto, ora scrivo. Ma le pagine sono bianche, ancora bianche da troppo tempo.