martedì 22 aprile 2008

La quercia - un'epifania di Homo Faber

Per ore ed ogni giorno rimaneva immoto, devotamente, ai piedi della quercia (siccome ad una quercia si conviene, secolare) nell’attesa del segnacolo che, secondo tradizione declinata per la scala di innumeri generazioni della quale era egli il gradino postremo, avrebbe squarciato lo spesso telone precludente la visione ineffabile, da cui il dissolvimento di sé individuo nel tutto e per sempre dell’afflato universale. Ma quando dall’albero cadde, prossima alla sua mano destra, una ghianda, pensò che non fosse quello cibo per lui.

sabato 19 aprile 2008

San Salvi / 11

Riassunto delle puntate precedenti. Un precario della Pubblica Amministrazione, condannato a vita a lavorare in un ufficio dell'ex-manicomio di Firenze, sogna di essere uno scrittore e cerca materiale relativo all'ospedale psichiatrico come spunto per il suo primo romanzo, pubblicando i propri appunti per i suoi quattro lettori.
Sto raschiando il fondo, sembra. Mi manca solo una tesi di laurea. Qualche “notiziario” degli anni ’60 e poi solo cartelle cliniche. Nei sotterranei. Poi più nulla? Non me ne capacito.
Con dispiacere gli ospiti del 4° che si recano alle partite di calcio allo stadio ogni domenica non sono potuti andare a vedere la partita che si è giocata 8 c.m. (novembre 64) fra Fiorentina e Juventus. Il motivo della mancata partecipazione a questo avvenimento da parte di noi ricoverati è che il biglietto d’ingresso della suddetta partita era troppo caro: e cioè di lire 900. Da più di un anno ci è stato promesso da parte dei signori medici e dell’Amministrazione che ci sarebbero stati dati dei biglietti gratis o a riduzione come in altri istituti o ospedali usufruiscono: ma non abbiamo visto niente. Raccomandiamo gentilmente l’Amministrazione di interessarsi in tal senso, che a noi farebbe molto piacere poter partecipare più spesso alle partite. Io, Fedi, sono bravo. Ho fatto nascere caratteristici Pappagallini, e sono stato capace di far nascere anche tortore. Domenica mattina mi sono recato a caccia da mio cugino. Mi son divertito molto e ho portato i ginepri. Sono stato anche alla fiera di Porta Romana: c’era un vivace filunguello che faceva innamorare tutti ed era da richiamo per tutte le bandite, e schiamazzo di colombacci. Al Signor Dottore dico che gli uccelli nella voliera sono disturbati dai gatti, bisogna che li levi.
Al 10 ° Reparto noi si era fatto il ballo. Come mai non ce le mandano le donne, cosa s’è fatto di male? Noi siamo gente riflessiva. Venite a ballare al 10°, uomini e donne, ospiti. Anche alle gite, perché non ci mandate con le donne? Siamo gente per bene. Fedi, 10°, R.U. Dall’officina meccanica. Abbiamo finito i pali per la segnalazione, verniciati di giallo con i segnali di posteggio e direzione che saranno fissati nel piazzale per il nuovo posteggio delle auto. Così anche il nostro Ospedale è all’altezza del codice della strada. E’ in corso la rifinitura di 24 piccole e graziose sedioline e 4 tavolini quadri con le gambe tonde e coniche. Sono verniciati di grigio con il sopra in legno compensato e formica rosa. Sono per il padiglione dei bambini e così anche loro usufruiranno del progresso della nostra officina. Sono anche in corso di lavorazione 8 finestroni larghi 3 metri e alti 3 e mezzo che andranno per l’ammodernamento del 1° reparto uomini. Si lavora così nella nostra officina per l’abbellimento del nostro Ospedale. Mancini Giovanni, degente lavoratore Dal Notiziario del novembre '64

martedì 15 aprile 2008

Racconto - Il bagno

La prima volta che entra in bagno Anna è sola. Sente dall’altra parte del muro un rumore. Lo sente perché in quel momento non c’è nessuno con lei, né altre detenute né guardie. Ascolta piccoli rumori nei bagni confinanti. Clac, la tavoletta del vaso che si alza, o si abbassa; pssh pssh, la pipì della vicina di gabinetto; trun trun, glo glo, glo glo, l’altra tira lo sciacquone, l’acqua scende; zzh, zzh, la cerniera torna su (questo rumore lo ha immaginato, non è possibile sentirlo attraverso una parete); tac, apre la porta; stum stum stum st… cammina. Ora c’è silenzio. Anna esce, incrocerò la vicina di bagno, pensa. No, non c’è nessuno, eppure avrebbe dovuto essere ancora qui. Pochi giorni dopo, è ancora sola in bagno e sente gli stessi rumori. Non vede nessuno, non sono le vicine di bagno. Ci sono altri bagni? Chiede la sera alla compagna di stanza. No, ma i bagni comuni confinano con quelli della sezione maschile. L’unico muro di confine tra uomini e donne è quello dei bagni. Anna non dorme. Aspetta il momento nel quale tornerà in bagno, non capita spesso durante la giornata, di solito le detenute usano il vaso della cella. Immagina lo sconosciuto frequentatore del bagno confinante. Alla prima occasione è dentro, anche se non deve pisciare. Sta ferma e ascolta, ma i rumori vengono dai bagni delle donne e coprono quelli degli uomini. Ora c’è silenzio, ma di là dal muro non si sente nessun rumore. Il giorno dopo Anna non può andare, non sempre è consentito. Talvolta si va insieme ad altre detenute, a volte ci sono le guardie. Bastano pochi rumori per coprire i suoni che Anna vuole ascoltare. Anna non ha fretta, ma i giorni buoni sono davvero rari. Di notte apre gli occhi e pensa agli uomini di là dal muro. Di giorno apre gli orecchi e cerca di percepire più suoni possibile. Entra in bagno e non fa niente, se non ascoltare. Trattiene la pipì più a lungo che può, non vuol sprecare i pochi minuti a disposizione per urinare. La farò in cella, pensa Anna. Oggi c’è silenzio nel bagno della sezione femminile. Stum stum stum. Eccolo! pensa Anna trattenendo il fiato per non disturbare l’ascolto. Tac, cla, psh, cloc, trun, glo, zh, tac, trun, glo, stum. Ha ascoltato tutto. Ha visto l’uomo di là, se lo è immaginato. Il giorno dopo è ancora lì, il giorno dopo ancora di nuovo lì, trattiene il fiato, appoggia l’orecchio al muro, prolunga la permanenza in bagno, ma non vuole esagerare, non vuole che qualcuno venga a sapere di queste visite. In due settimane ha sentito tre volte il rumore dell’uomo. In sei settimane otto. In due mesi quindici. E’ sempre lo stesso uomo, così è convinta lei. Non si sentono mai due uomini parlare in bagno, è poco frequentato. Alla tredicesima settimana Anna muove la mano, è indecisa, sta per sbattere il pugno contro la parete. Lo appoggia soltanto. Il giorno seguente trova di nuovo l’uomo, ormai ha imparato quali sono gli orari nei quali è più facile trovarlo. Così crede. Anna batte piano il pugno sulla parete, ascolta, strizza gli occhi, non succede nulla. Tre giorni dopo (di nuovo lui, pensa Anna) batte più forte, ripetutamente, accenna anche a un sussurro. Silenzio. Ormai ha capito, pensa Anna la notte stessa mentre non dorme, sarò più decisa. Dopo quattro giorni si ritrovano dalla parte opposta della stessa parete. Anna batte il pugno e sussurra, ehi! ps! ss! Tossicchia. Il giorno dopo: ps! ehi! oh! Dario ha sentito. Ascolta, non sa che cosa pensare. Esce, guarda nel bagno accanto. Si pone in ascolto, non respira. Rinuncia, va via. Il giorno dopo ancora: bum, ps! ehi! Guarda in alto, come se cercasse un buco attraverso il quale parlare, ben sapendo che non c’è. Tossicchia. Di là qualcuno tossicchia. E’ rumore di donna, pensa Dario. Ps! ehi! (anche lui). Il giorno dopo non si trovano, il giorno successivo ancora Dario si libera alla stessa ora. Vado in bagno, dice al collega. Apre la porta, la chiude, ascolta. Ps! ehi! eeehi! Iuuuù! Piano però, si vergogna. Fischietta, canticchia. Anche Anna fischietta, di là dal muro. Ciao, prova Dario. La donna civettuola lancia il sasso, poi aspetta che l’uomo si faccia avanti. Oppure è l’uomo che ci ha provato. Non si sa chi è partito prima, lui o lei? Ne discuteranno a lungo, se la cosa andrà avanti. Se non fosse per il muro. Ciao! Ciao! Mi senti? Poi arrivano dei rumori, qualcuno parla, è una voce di donna che deve essere entrata nel bagno di là. Il giorno dopo lei non può andare all’appuntamento, quello successivo lui non è di turno. Si ritrovano di nuovo. Ehi! Ps! Ciao! Si arriva al dunque rapidi, hanno meno timore i due. La settimana dopo: come ti chiami? Io sono Anna. E tu? Non te lo posso dire. Anna pensa, pensa, pensa. Sogna. Perché non lo può dire? Il giorno dopo. Dai, su, dimmelo, ti prego (senza neanche ciao, ne ps, né ehi: hanno poco tempo). Dario. Sono quattro mesi che Dario e Anna si frequentano. Fosse per lei andrebbe lì tutti i giorni, ma lui è una guardia e non tutti i giorni è al lavoro. Si salutano, parlano sempre a bassa voce, una manciata di secondi. Anna non fa l’amore da tre anni, da quando è dentro. Non chiede a Dario se è sposato o fidanzato: ha paura della risposta. Oggi le chiede di avvicinarsi al muro, di appoggiarsi contro di esso. Ci sei? Anch’io. Ti sto baciando. Zitta, non si parla mentre si bacia. Anna sorride. Dario ama Anna, Anna ama Dario. Sei bella. E’ un’affermazione, nessun uomo ha mai chiesto a una donna se è bella o no. Forse i ciechi? Si chiede Dario. Lui non ne ha mai conosciuti. Hai occhi bellissimi, le sussurra ad alta voce lei. Sono otto mesi che ci conosciamo. Cinque, corregge lui. Otto: io ti ascoltavo ben prima che ci parlassimo. E’ ora di fare l’amore, suggerisce lui. E come facciamo? Domanda lei, incredula. Ci siamo baciati tante volte, possiamo anche fare l’amore. Domani, oggi non abbiamo tempo, è ora di andare, ribatte Anna. Il giorno dopo, senza preamboli (non c’è tempo; il tempo è contro di loro; lo spazio forse no, lo spazio che li separa ha favorito il loro incontro, forse non si sarebbero amati se non avessero dovuto rimanere separati), lui spoglia lei, lei spoglia lui, con le parole sussurrate guidano le reciproche svestizioni. Indugiano a lungo come non hanno mai fatto, preferiscono correre il rischio di esser smascherati. Lui ha la mano sinistra appoggiata contro la parete, guarda lei attraverso di essa, si agita furioso il pisello. Anche lei si masturba: appoggia tutto il suo corpo nudo contro la parete, vuol farsi penetrare da dietro. Si descrivono a vicenda le proprie posizioni, mugolano a voce alta, non hanno più paura. Lo sperma di Dario finisce sul pavimento del bagno della sezione maschile, appoggiata alla parete del bagno della sezione femminile Anna urla. Il giorno dopo. Dario vuol conoscere Anna, posso venire a trovarti tutti i giorni, dice lui. No, non sarebbe più la stessa cosa. Dario vive fuori, per Anna c’è solo Dario di là dalla parete del bagno e la notte per non dormire. Dario insiste: forse ci piaceremo anche vedendoci. E poi? io sono sempre dentro, tu sarai sempre controllore, io sempre controllata, si altera Anna. Facciamo l’amore, facciamo l’amore davvero, prova Dario. E dove, vuoi venire in cella? Non capisci un cazzo (lei). Anna, è la prima volta che litighiamo (lui). Doveva succedere prima o poi, Dario, siamo una coppia, una coppia di là dal muro, ricorda Anna. Ora, è tardi, ci vediamo domani (Dario). Domani, sì, forse.

sabato 12 aprile 2008

Alla ricerca dei nostri avi - 1

Mio fratello Flavio mi ha trascinato in una ricerca genealogica della nostra famiglia. Sta raccogliendo ricordi tra i parenti ancora vivi e documentazione (foto, lettere, ecc.). E’ andato ad indagare a Pescia perché il nostro bisnonno era di lì. Nei mesi scorsi ha fatto una prima ricognizione all’archivio di stato e al vescovado. Ieri mi sono unito a lui e abbiamo dedicato diverse ore alla caccia dei nostri avi. All’archivio di stato di Pescia è molto difficile ottenere qualcosa di buono, sia perché il materiale è scarso e di difficile consultazione per i profani, sia perché l’impiegato che ci ha ricevuto sembrava quasi infastidito dalla nostra presenza e sembrava volesse tenersi per sé tutti gli schedari di cui era in possesso. Abbiamo comunque ottenuto qualche informazione sui nostri avi e siamo venuti a sapere che una famiglia francese, tempo fa, ha chiesto notizie di tale Guerrazzo D’Ulivo vissuto nel 1800 circa. Dunque dovremmo avere un avo in comune con questa famiglia, probabilmente còrsa, o della Francia del sud, poiché oggi su internet ho trovato diversi D’Ulivo (o Ulivo o Dulivo) in quelle zone. Probabilmente qualche parente di un nostro avo era emigrato in Corsica durante la dominazione napoleonica. Per fortuna però i nostri avi, probabilmente, non si sono mossi per secoli dalla solita parrocchia, Castellare di Pescia. Questo facilita molto le indagini. La seconda tappa l’abbiamo fatta al cimitero, alla ricerca di qualche lapide.Sembra che non ce ne siano, ma siamo stati accolti con entusiasmo dalla signora dell’ufficio cimiteriale che ci ha mostrato alcuni registri dal 1880 in poi. Abbiamo trovato alcune conferme di quello che Flavio aveva già scoperto e date di nascita, di morte, di sepoltura (ora compresa) del nostro bisnonno Candido, della nostra bisnonna Elvira, e del nostro trisavolo Emilio. Tutte queste persone, dopo dieci anni dalla sepoltura, sono finite nell’ossario comune (erano contadini) La terza tappa, dalla quale contavamo di ottenere maggiori informazioni, è stata all’archivio delle parrocchie (vescovado). Siamo fortunati perché lì lavora un ragazzo esperto e disponibile ad aiutarci. Così ci siamo messi alla caccia dei certificati di battesimo e di matrimonio. Abbiamo anche consultato un censimento del 1841. E’ molto difficile leggere nella scrittura di uno o due secoli fa, a volte è difficile interpretare quello che c’è scritto. Spesso i dati non sono esatti (Pietro diventa Piero, D’Ulivo D’Olivo, gli anni vengono conteggiati approssimativamente, un po’ come fanno ancora gli anziani). Prima di un certo periodo i documenti sono in latino. Per fortuna c’era il ragazzo, un fenomeno nell’individuazione del nome D’Ulivo in mezzo a centinaia di parole incomprensibili e generoso nel darci dritte importanti. Alla fine siamo riusciti a risalire al certificato di battesimo del nostro avo Pietro, nato il 5 giugno 1715, figlio di Giovanni, figlio del fu Pietro (foto). Dunque, il babbo e il nonno di Pietro (Pietro anche lui) hanno vissuto nel 1600, sempre nella parrocchia di Castellare di Pescia. Siamo usciti entusiasti. Al prossimo giro contiamo di andare avanti nella scala dei nostri avi (il bibliotecario ci ha detto che potremmo arrivare al 1400) e di ampliare le nostre notizie (che lavoro facevano, se sapevano leggere o scrivere, ecc.).

mercoledì 9 aprile 2008

Jelinek - La pianista

Perché ho comprato La pianista di Elfriede Jelinek? Forse perché ne è stato tratto un film, di cui si vede anche una foto in copertina? Non è da me! Non lo ricordo, ma talvolta si fanno scelte casuali azzeccatissime. E io sono proprio contento di aver letto questo libro (come al solito in questi casi: divorato) perché diverso da tutti quelli che ho letto, soprattutto da un punto di vista stilistico. etafore continue, eppure non le sopporto, io, le metafore. Cambi di registro stilistico. E poi sesso, e poi ancora: introspezione psicologica. E poi: violenza. E poi: comicità. E ancora: disperazione. E poi… (perché, perché l’ho comprato? Come ho scoperto la Jelinek?...)
La ricerca spasmodica e frustrante della vita e di un'identità sessuale, fra autolesionismo e voyerismo, spingono una quarantenne insegnante di pianoforte negli squallidi peep-show della periferia viennese, nei cinema a luci rosse o tra le siepi del Prater, prima di rientrare a casa, sotto le lenzuola del letto che condivide con la tirannica madre. Al centro della narrazione il tormentato rapporto di forza tra le due che trasformerà in catastrofe sadomasochistica il tentativo della donna di legarsi a un suo allievo. "La pianista" è il romanzo più conosciuto di Elfriede Jelinek, premio Nobel per la letteratura nel 2004. (bol.it)
"…I sentimenti dell’insegnante spirano in alto, una tiepida corrente ascendente. In realtà Kemmler non ha proprio nessuna voglia, ma deve, perché è questo che si vuole da lui. Stringe i ginocchi come uno scolaretto imbarazzato. La donna smania sulle sue cosce e implora pietà e ferocia. Come potremmo stare bene adesso! Fasci di carne sbattono sul pavimento. Erika Kohut pronuncia una dichiarazione d’amore che poi consiste in una elenco di noiose richieste, di patti ben congegnati, di accordi ripetutamente confermati. Kemmler non concede il proprio amore, non dice oplà tanto in fretta. Non è cosa che si concluda in quattro e quattr’otto, quella. Erika spiega fino a che punto è disposta a spingersi a queste o quelle condizioni e invece Kemmler progetta di fare al massimo un giro per il Rathauspark senza correre troppo. La prega: non oggi, la prossima settimana! Allora avrò più tempo. Vedendo che le sue preghiere non sortiscono alcun effetto, comincia a toccarsi di nascosto, ma in lui tutto rimane come morto. Questa donna lo trascina in uno spazio che lo risucchia, dove il suo arnese, sebbene molto richiesto, non mostra alcuna reazione. Kemmler tira, picchia, scuote istericamente. Lei non si è ancora accorta di nulla e si scaglia su di lui come una slavina d’amore. Comincia già a singhiozzare, ritratta alcune delle cose appena dette e in cambio ne promette altre migliori. Si sente infine liberata! Senza alcun entusiasmo Kemmler si gingilla col suo basso ventre, gira e rigira il pezzo da lavorare e lo batte con arnesi di ferro. Sprizzano scintille…" Oltre a La pianista (del 1983) la Jalinek ha scritto tra l’altro Le amanti 1975 La voglia 1985 Voracità 2005