martedì 29 gennaio 2008

San salvi/ 4

Riassunto delle puntate precedenti. Un precario della Pubblica Amministrazione, condannato a vita a lavorare in un ufficio dell'ex-manicomio di Firenze, sogna di essere uno scrittore e cerca materiale relativo all'ospedale psichiatrico come spunto per il suo primo romanzo, pubblicando i propri appunti per i suoi quattro lettori
Nel 1904 fu prodotta una legge che regolerà la materia psichiatrica per gran parte del secolo. Secondo questa legge "debbono essere custodite e curate le persone affette da alienazione mentale, quando siano pericolose a sé o agli altri o riescono di pubblico scandalo o non possano essere custodite o curate fuorché nei manicomi". E forse come definizione non era neanche male, per quei tempi. Nella realtà però non si ricorreva all'internamento solo in questi casi estremi. Infatti, nel periodo 1901-1910 entrarono in manicomio più di 8000 persone e all'inizio degli anni '60 SanSalvi consta di 17 reparti e 1642 posti letto (in realtà i ricoverati erano di più). Consideriamo che il manicomio serviva solo la provincia di Firenze. Il soggetto malato, una volta entrato in manicomio, perde ogni diritto civile. Dimesso, è comunque discriminato per sempre. Almeno che non sia ricco e possa permettersi case di cura private, evitando così la perdita dei diritti civili. La funzione predominante della struttura manicomiale è la custodia dei soggetti, secondaria invece è la cura. I locali vengono suddivisi per tipologia di malato: agitati, pericolosi, abili a svolgere un lavoro ecc. Era il giudice, non il medico, non l'ospedale, a permettere la dimissione del malato (stavo per scrivere: detenuto). L'articolo 50 prevedeva che un parente firmasse l'uscita del malato. E chi non aveva parenti? Poteva firmare un amico. Solo che si era diffusa l'idea che se poi il "guarito" commetteva una follia il giudice sarebbe andato a ripescare il firmatario e gliel'avrebbe fatta pagare. Così nessuno firmava e i poveretti rimanevano dentro.

San Salvi/ 3

E’ vero che ci sono pochi libri, però non manca altro tipo di materiale. Negli anni ’60 l’ospedale psichiatrico Vincenzo Chiarugi (nome ufficiale dal 1924) pubblicava un notiziario sull’attività del manicomio: “settimanale di notizie e opinioni redatto dagli ospiti degli O.P. di Firenze”. Per esempio il n. 20 – anno II del novembre 1964 contiene:

I programmi TV della settimana.

"La voce della Campana” a cura di frà Din Don

Un articolo di un ospite del 4° Reparto Uomini “Perché non tutti i malati scrivono: una proposta”

Invito al disegno. Viene pubblicato un disegno a tema. “Per la prossima settimana provate a disegnare: Il lupo perde il pelo ma non il vizio”

Verbale della riunione del C.S.T. sui problemi quotidiani dell’ospedale

“Sottovoce alle signore” una proposta per cambiare “le vestaglie che ci fanno sembrare dei sacchi”

“Dietro le quinte” una nota sulla vita di comunità di un ospite del 4° Reparto uomini

“Fate da soli le lampade pallone”: istruzioni

Il racconto di una visita al cimitero

“Un premio a chi indovina: rubrica enigmistica”

Ogni anno è abitudine in questo ospedale celebrare il carnevale con una bella festa da ballo nel locale del cinema. A due di esse ho partecipato anch’io e posso dire che sono riuscite benissimo. Allegro l’ambiente, buona l’orchestrina e, quello che più conta per gli ospiti, fornitissimo il bar. Pasticceria e bibite a volontà per tutti. Ora io mi domando: la spesa da sostenere per la festa non è eccessiva, quindi perché in questo ospedale non viene celebrato con una festicciola simile anche San Silvestro?

Gli assistenti del 4° uomini riconoscono che il vitto delle ore 11 è discreto e mangiabile e su questo si sentono poche lamentele. Mentre quello della sera e cioè delle ore 5 tutti reclamano: quello che ci viene dato a desinare ci viene fatto scontare a cena. E allora chiediamo a codesta assistenza di intervenire , perché non si mangia bene una sola ma almeno due o tre volte al giorno. Non chiediamo questo per esigenza ma per assistenza, se siamo degli assistiti assisteteci nel miglior modo.

E così ci siamo soddisfatte nel rivedere dopo tanti anni le care tombe dei nostri genitori, fratelli, mariti e parenti.

Quello che rimane dietro le quinte è l’infermeria del reparto pilota: lì vediamo venti degenti consumare la colazione in piedi nella piccola stanza da bagno fra gomitate e spinte

Oggi ho scoperto:

fino agli anni ’70 perlomeno si praticava l’elettroshock (anche dopo?)

un signore (anni ’80?) usciva regolarmente per andare nel quartiere, al bar; era sempre tranquillo, quando era fuori; quando rientrava cominciava a correre lungo il viale urlando: “Sanità di merda! Bastardi! Assassini!”

lunedì 28 gennaio 2008

San Salvi/ 2

Nel 1885 una Commissione Speciale eletta dal consiglio provinciale di Firenze scelse l'area adiacente al Monastero di San Salvi (poi chiesa di San Michele a Salvi) per erigere il nuovo ospedale psichiatrico fiorentino poiché quello posto in via San Gallo (oggi la Questura) non era più sufficiente. Nel 1887 partirono i lavori della cittadella, sotto la direzione dell'architetto Giacomo Foster e la supervisione dello psichiatra Augusto Tamburini. Fu progettato per ospitare 700 persone e l'unico edificio preesistente, Villa Fabbri, risale al XV secolo (oggi è abbandonato, ne è prevista la ristrutturazione), quindi quella che è ora una città dentro la città era allora campagna. La cittadella era concepita per essere un luogo di cura e non di segregazione. Anche la struttura doveva avere una funzione terapeutica, con i luoghi che si trovavano nella vera città: chiesa, giardini, colonia agricola, laboratori artigianali (non so se già all'epoca c'erano il teatro, la centrale termica...). I padiglioni che caratterizzano l'ospedale sono tutti collegati tra loro: al pian terreno, nei sotterranei, al piano superiore (questo favoriva per esempio i traslochi, visto che non c'erano ancora gli ascensori). Nel 1891 fu inaugurato il nuovo ospedale. (Con una efficienza nettamente superiore a quella che porterà un secolo dopo allo smantellamento del manicomio: la legge Basaglia che sancisce la chiusura dei manicomi è del 1978, la chiusura dell'ospedale psichiatrico è del 31 dicembre 1998). Queste notizie si trovano in D. Lippi, San Salvi, Storia di un manicomio, Olschki

sabato 26 gennaio 2008

San Salvi

Da qualche anno lavoro in un ufficio dell'ASL all'interno dell'ex-manicomio provinciale di Firenze, San Salvi, una piccola città dentro la città nel quartiere di Campo di Marte. In questa cittadina ci sono alcuni uffici dell'ASL, una compagnia teatrale, due scuole, una biblioteca, alcuni edifici occupati, alcune residenze sanitarie, Vigilandia (dove si fa educazione stradale ai bambini). La mia scrivania, presumo, si trova in una ex camerata di ricoverati. Sto cercando di scrivere un romanzo su un ex-manicomio, San Salvi è lo spunto, anche se non viene mai nominata perché mi interessa questo posto come luogo di sofferenza e di ingiustizia, non l'ospedale in sé. Probabilmente gli altri ex-manicomi d'Italia assomigliano a questa città. Ho scritto diversi racconti, alcuni pubblicati sul blog (Fantasmi, Carni, Il funerale), il cui elemento comune è il manicomio. Spero di produrne ancora e di riuscire a dare un'organicità al tutto. Ho pensato che mi potrà essere d'aiuto leggere la storia, e le storie, di San Salvi. Non voglio fare una ricerca vera e propria, il mio scopo non è scrivere un saggio. Cercherò di sapere più di quello che so sulla vita del manicomio e spero che questo mi aiuti a scrivere storie. Sono andato a cercare in biblioteca. E' al primo piano di uno dei padiglioni, le stanze sono grandi e piene di luce, al contrario della mia stanza, dove non batte mai il sole e abbiamo ancora le sbarre alle finestre. La bibliotecaria è una dipendente dell'Asl, è molto gentile e aiuta volentieri i visitatori (pochi, credo) della biblioteca, specializzata in testi di psicologia e psichiatria. Le ho presentato una piccola lista di testi, lei me ne ha fatti vedere anche altri. Alcuni sono in visione ad un'associazione di quartiere che sta facendo una ricerca in vista della trasformazione che sta avvenendo e avverrà nei prossimi anni. I testi sono davvero pochi, credo che non superino la decina, comprese un paio di tesi di laurea. Mi informerò, ma credo che sia tutto qui, che non ci sia un servizio di informazione, di archivio storico, foto, testi, nomi dei ricoverati, dati, statistiche (dico le prime cose che mi vengono in mente). Forse il materiale è sparso qua e là nell'archivio dell'Asl. Forse non c'è più niente? Spero di no.

mercoledì 23 gennaio 2008

Hrabal - Una solitudine troppo rumorosa

Sei mesi prima della nascita di Hrabal successe questo fatto: "Una domenica Mara tornò a casa e disse ai genitori che aspettava un bambino e che il tizio con cui stava non la voleva. Il collerico nonno Tomàs prese lo schioppo dall'armadio e poi cacciò Mara in cortile e gridò: in ginocchio, che ti sparo! La nonna Katerina servì la minestra di fagioli, uscì in cortile e disse: smettetela e venite a mangiare o si raffredderà!" Forse è in questo episodio, io la vedo qui, l'origine della sua scrittura tragicomica, nella quale gli avvenimenti drammatici si accostano con musicalità alla banalità del quotidiano. Da trentacinque anni Hanta/Hrabal lavora alla carta vecchia, pressa carta vecchia e libri, e si istruisce "contro la sua volontà", e legge, e mette da parte, e legge, e scrive il suo miglior libro (poi anche film) un po' come se lavorasse nel magazzino della carta da macero, forse c'è un po' di confusione, e tanta poesia, nelle sue pagine, e tanta istruzione non accademica nella sua testa, di Bohumil Hrabal, ceco, volato giù dal quinto piano di un ospedale praghese il 3 febbraio nel 1997.
A Praga, nelle viscere di un vecchio palazzo, un uomo, Hanta, lavora da anni a una pressa meccanica trasformando libri destinati al macero in parallelepipedi sigillati e armoniosi, morti e vivi a un tempo, perché in ciascuno di essi pulsa un libro che egli vi ha imprigionato, aperto su una frase, un pensiero: sono frammenti di Erasmo e Laozi, di Hölderlin e Kant, del Talmud, di Nietzsche, di Goethe. Professionista per necessità della distruzione dei libri, Hanta li ricrea incessantemente sotto forma di messaggi simbolici, rinnovando a ogni istante il prodigio del pensiero creativo che sgorga spontaneo al di là e nonostante i modelli canonici della società e della cultura. (Einaudi.it) Altre sue opere (case editrici: Einaudi, e/o, Guanda): Treni strettamenti sorvegliati Ho servito il re d'Inghilterra Inserzione per una casa in cui non voglio più abitare Le nozze in casa La tonsura Vuol vedere Praga d'oro? Paure totali Un tenero barbaro L'uragano di novembre La cittadina dove il tempo si è fermato

sabato 19 gennaio 2008

Helgason - 101 Reykjavik

Forse mi piacciono, queste storie di uomini di oggi persi in un mondo uguale dall'Islanda in giù, queste storie welshiane, nel cui filone narrativo si inserisce 101 Reykjavik, dello scrittore islandese Hallgrìmur Helgason, libro non foss'altro divertentissimo, forse mi piacciono perché c'è il peggio di noi, il peggio di me, il peggio dell'uomo moderno, dei perenni adolescenti che siamo, senza strade tracciate, senza idee definite, senza capacità di comprensione e di azione. Forse è per questo.
Reykjavik, Islanda, metà degli anni Novanta. Hlinur ha trent'anni suonati, è scapolo e non ha nient'altro da fare se non praticare una disoccupazione caparbia e pertinace, e vegetare in un appartamento nel centro storico della capitale, codice postale 101, che condivide con la madre, donna iperprotettiva e morigerata. A differenza della sua mammina adorata, Hlinur di morigerato non ha nulla: consuma dosi massicce di tivù spazzatura e videocassette porno, si masturba con impegno scientifico, spende le sue notti in giro per pub e locali di dubbia reputazione, mette incinta l'ingenua fidanzatina di passaggio e sogna appassionate sessioni di sesso con Katarina, compagna ungherese di 'chat' notturne. Amici, pochi; vita sociale, casuale: insomma un'esistenza segnata dalla solitudine e dalla monotonia. Ma l'arrivo inatteso di Lolla, l'affascinante e ambigua amante omosessuale della madre, con la quale Hlinur si concede un Capodanno d'amore, è destinato a sconvolgere irrimediabilmente la sua piatta, e necessaria, routine. Esilarante farsa grottesca, sullo sfondo della vita notturna un po' claustrofobica della capitale islandese, "101 Reykjavik" è la storia allucinata e paradossale di un eterno Peter Pan in fuga dalla realtà e dalle proprie responsabilità di uomo. (BOL) Di Hallgrimur Helgason, scrittore, pittore e drammaturgo, è stato pubblicato in Italia anche: Il più grande scrittore d'Islanda

mercoledì 16 gennaio 2008

Bernhard - Estinzione

Quando leggo un libro, da un po' di tempo a questa parte, ho l'abitudine di fare un orecchio alle pagine che contengono una frase o un brano interessante (lo so, si rovinano, ma se lo segno con il lapis, non lo ritrovo più; e poi i libri bisogna viverli, non si possono lasciar lì in mostra in libreria). Con Estinzione, e con gli altri di Bernhard, ho dovuto a un certo punto fermarmi perché il libro era tutto pieghettato. Ho dovuto anche smettere di leggerlo perché non potevo non scrivere come lui (lo so, non al suo livello). Mi aveva pervaso la mente, questo autore austriaco, sempre incazzato con gli austriaci, e i tedeschi in genere, ossessivo, ironico, esagerato, come dice lui stesso a pagina 464 di questo straordinario libro. "In questo fanatismo dell'esagerazione ho sempre trovato appagamento. Talvolta quel fanatismo dell'esagerazione, quando riesco a farne un'arte dell'esagerazione, è la sola possibilità possibilità per salvarmi dalla miseria della mia disposizione d'animo, dal mio tedio spirituale. Ho educato a tal punto la mia arte dell'esagerazione che a buon diritto posso definirmi il più grande artista dell'esagerazione che io conosca. Non ne conosco un altro."

E' il tentativo di ricostruire un passato al tempo stesso individuale e collettivo, non per conservarlo, bensì per liquidarlo, estinguerlo una volta per sempre. Commedia umana dell'Austria contemporanea, Estinzione è al tempo stesso commedia dell'arte con i suoi personaggi esilaranti, buffoneschi. A spezzare la tensione più intollerabile una comica ambiguità disseminata fra le pieghe del romanzo fa da contravveleno, producendo un amalgama di cupezza ed euforia che è contrassegno inconfondibile di Bernhard. (IBS)
In ordine sparso, alcune delle sue numerose opere: Estinzione Il freddo Il respiro La cantina Antichi maestri L'origine Un bambino Perturbamento Il nipote di Wittgenstein Il soccombente

Welsh - Trainspotting

2001, libreria Feltrinelli, Firenze. Un mio amico mi aveva raccontato, pochi anni prima, disgustosissime scene del film di Danny Boyle. Schifo! Obbrobrio! Inguardabile! Lo vedo sullo scaffale: irruento, sboccato, violento, beffardo: il romanzo che ha dato voce a una nuova generazione. Lo prendo in mano. Sì, no... sì, no... sì, no... Proviamo, dai.

Le prime trenta pagine. Tutto qui? Lo lascio. No, continuo. Continuo, continuo, continuo. Non mi fermo più, pagina dopo pagina, libro dopo libro. Irvine! Il mio autore preferito! Per anni. E con lui, grazie al suo stile che mi ha catturato e mi ha introdotto ad altri scrittori: John King, Roddy Doyle, Nick Hornby. Parolacce, sesso, droga, calcio, violenza. Divertente, drammatico, tragico. Irvine Welsh.
Un pugno di ragazzi a Edimburgo e dintorni: il sesso, lo sballo, la rabbia, il vuoto delle giornate. Sono i dannati di un modernissimo inferno "chimico", con la loro vita sfilacciata e senza scampo. Alla ricerca di un riscatto, di un senso da dare alla propria esistenza - che non sia il vicolo cieco fatto di casa, famiglia e impiego ordinario - trovano nella droga e nella violenza l'unica risposta possibile. Sboccato, indiavolato, travolgente: l'esordio di un talento letterario, il romanzo shock che ha fatto epoca e dato voce a una nuova generazione. (IBS) Romanzi di Welsh:

Trainspotting (1993)

The Acid House (1994)

Tolleranza zero (1995)

Ecstasy (1996)

La casa di John il sordo (1997)

Il Lercio (1998)

Colla (2001)

Porno (2002)

I segreti erotici dei grandi chef (2006)

domenica 13 gennaio 2008

A te... (di Assia Lazzerini)

A te…
Hai attraversato la mia vita come un coriandolo in una giornata di pieno inverno.
Un filo colorato e rumoroso nel buio di una notte senza luna.
Il tuo sorriso, i tuoi occhi, il tuo fregartene degli altri quando eri con me.
Dove sei??
Hai trovato nuovi amici e va bene. Ho stretto i denti per non dire quello che pensavo di loro, e non offenderti.
Hai cominciato ad allontanarti, non eri lì per me quando piangevo. Come quella volta in cui ti telefonai in lacrime perchè avevo litigato con delle mie compagne; erano volate parole grosse, insulti e quelle che credevo amiche mi voltarono le spalle, dopo avermi usato come una macchinetta usa e getta.
Ti dissi tutte queste cose in un fiume di lacrime, in un vortice di parole, seduta sul bordo della terrazza di casa mia, mordendo il colletto della maglietta e stringendomi le ginocchia sotto il mento.
“Ah, divertente.” Il tuo unico commento. Sentivo che stavi giocando con il cellulare, probabilmente avevi afferrato la metà delle parole che ti avevo sussurrato con la poca voce che mi era rimasta.
In quel momento sentii che qualcosa, già incrinato dai tuoi silenzi e dalle tue parole inutili per riempire il vuoto, un vuoto che non conosci il silenzio della mia solitudine dove solo tu eri entrata e da dove stavi uscendo, si
era definitivamente rotto.
“Devo andare” dissi, attaccando prima che tu potessi rispondermi.
Ti vidi guardare il telefono staccato e pensare “ che maleducata” e poi fare spallucce.
Sentii l’odio che cresceva nel mio petto, ma nello stesso tempo si spegneva stanco di tutto quell’odiare e di essere arrabbiata.
Mentre scrivo la mano mi trema, vorrei dirti tante cose. Fiumi di parole per dirti, spiegarti tutto il mio bene per te.
Nella testa si formano le parole di una canzone ascoltata tanto tempo fa di De Andrè:
“E’ una storia da dimenticare
E’ una storia da non raccontare
E’ una storia un po’ complicata
E’ una storia sbagliata.”
Ma siamo ridotte a questo? A una storia sbagliata?
Insieme volevamo conquistare il mondo.
Avrei voluto farti capire tante cose ma eri troppo occupata a parlare di D&G o di LV per ascoltarmi.
Non sono nessuno per giudicare, non sono senza peccati.
Non sono nessuno per dire che hai sbagliato, ne ho fatti anche troppi di errori.
Ma so che nei nostri cuori c’era qualcosa dell’altra.
Eravamo troppo amiche.
Ho continuato a chiamarti, ti ho invitato al mio compleanno.
Ma c’erano troppe persone prima di me.
E io non ho voluto mettermi in coda.
Tu eri lo scoglio a cui aggrapparmi.
Un’altra realtà in cui rifugiarmi se non riuscivo ad avere nervi saldi nell’altra.
Eravamo troppo amiche.
Ho cercato di fartelo capire, di ricordartelo. Ma non avevi tempo per stare ad ascoltare una voce che veniva da un passato troppo remoto.
Ho capito troppo tardi che i pomeriggi passati insieme a giocare agli animali, a mangiare latte e biscotti e a colorare appartengono a un passato lontano.
Tutto questo per dirti che non sarò più ad aspettarti, se mai tornerai al passato non troverai che un vuoto riempito a metà dalle tue parole e dai tuoi insensati silenzi.
E a mia madre che continua a chiedere rispondo con altri versi di De Andrè:
“Per il segno che c’è rimasto
Non ripeterci quanto ti spiace
Non ci chiedere più com’è andata
Tanto lo sai che è una storia sbagliata.”
Addio.
Assia Lazzerini

sabato 12 gennaio 2008

Piperno - Con le peggiori intenzioni

Mi è capitato un paio di anni fa. Guardo questa faccia, questa qua sotto: antipaticissima. Sempre con quelle giacchette e quelle cravattine, sempre in posa, sempre borghese, sempre sussiegoso.

Leggo il Corriere della Sera. Ogni giorno un’intervista: per chiedergli un’opinione, per sapere che cosa pensa di uno scrittore, che cosa di una tendenza moderna, quali camicie preferisce, quali calzini porta. Ogni scusa è buona per metterci la sua faccia.

Ogni giorno: Piperno strepitoso, Piperno di qui, Piperno di là.

Un battage pubblicitario insopportabile.

Lo leggo lo stesso, non so perché.
Accidenti, è strepitoso davvero! È letteratura.

Il libro racconta l'irresistibile ascesa e l'inevitabile decadenza dei Sonnino, facoltosa famiglia di ebrei romani, e dei loro amici, sodali, fiancheggiatori e nemici. Dallo sregolato, epico nonno Bepy al disorientato, sgangherato e perplesso nipote Daniel passano le generazioni, le epoche, i pezzi di storia italiana, dagli anni del boom economico agli anni Ottanta. Nato a Roma nel 1972, Alessandro Piperno insegna letteratura francese a Tor Vergata. Questo è il suo romanzo d'esordio.

(da ibs.it)

venerdì 11 gennaio 2008

La melagrana (di Nuanda)

LA MELAGRANA

Eccola.

La vedo.

Lucida, affilata, fredda.

Segna il mio involucro coriaceo.

E si addentra sin oltre la metà.

Poi si allontana.

Due mani mi avvinghiano.

E con forza mi aprono.

I semi color rubino,

brillanti e ricchi di succo, vedono la luce.

I rivoli del mio sangue, copiosi,

rigano il guscio, le mani, il piano.

Sono quasi senza vita,

prostrata dinanzi al mio Destino.

Mi resta solo l’ultimo rantolo

prima dell’addio.

Nuanda

mercoledì 9 gennaio 2008

Da non perdere/2

L'ULTIMO HAREM da mercoledì 16 a domenica 27 al teatro di Rifredi) Con Serra Yilmaz (Le fate ignoranti, La finestra di fronte). L'ho visto l'anno scorso, ma torno a vederlo. Già da qualche anno a Firenze, significa che piace! http://www.toscanateatro.it/spettacolo.php?id=100

Da non perdere/1

CRISIKO! WWW.MYSPACE.COM/GLIOMINI Vi piacerà, sono sicuro.

12 - 18 GENNAIO - CRISIKO! - PRATO - TEATRO MAGNOLFI.
19 GENNAIO - REPLICA STRAORDINARIA DI CRISIKO! - PRATO - TEATRO MAGNOLFI. (da confermare)
16 FEBBRAIO - CRISIKO! - CRISPIANO (TA) - LINDBERGH TEATRO.
22 FEBBRAIO - CRISIKO! - BENTIVOGLIO (BO) - CENTRO CULTURALE TEMPO ZERO - feat. TONY CLIFTON CIRCUS.
23 FEBBRAIO - CRISIKO! - AGLIANA (PT) - POLISPAZIO HELLANA.
19 MARZO - CRISIKO! - GENOVA - TEATRO DELLA TOSSE.
29 MARZO - CRISIKO! - PRATOLA PELIGNA (PE) - TEATRO COMUNALE D'ANDREA.
1 - 5 APRILE - CRISIKO! - ABETONE (PT)
7 - 11 APRILE - CRISIKO! - CUTIGLIANO (PT)
19 APRILE - CRISIKO! - PIEVE SANTO STEFANO - TEATRO CAPOTRAVE.
28 APRILE - 4 MAGGIO - CRISIKO! - PITEGLIO (PT)
APRILE - MAGGIO - CRISIKO! - luoghi e date da definire in provincia di Pistoia.
23 - 30 MAGGIO - CRISIKO! - GARDONE VAL TROMPIA (BS) - TREATRO.

martedì 8 gennaio 2008

Vecchi amori (di Homo Faber)

Che il lungo periodo di lontananza (separati per decisione unanime che non assecondava i loro desideri, ma era imputabile al comune riconoscimento della necessità di evadere da una situazione ormai divenuta insostenibile, forse più per gli altri che per essi stessi) non era servito a niente fu chiaro fra i presenti a tutti coloro che sorpresero il bagliore inusitato dei loro sguardi nell’incontro inatteso ancorché annunciato con l’accettazione formale dell’invito. E quando lui, che per niente al mondo sarebbe mancato nella memorabile celebrazione, le accarezzò la mano con gesto evocatore di ricordi che sospingevano in tempo in una precipitosa marcia a ritroso, lei fu pervasa da un flusso inestimabile di energia, tanto da sentirsi in grado di affrontare qualunque prova, perfino di spengere con unico sostenuto soffio le cento candeline della torta.

Homo Faber

venerdì 4 gennaio 2008

F.D.A. (di Homo Faber)

Quando si sommeranno gli anni agli anni

e sentirai le forze venir meno,

quando cadente nello specchio il seno,

vedrai da rughe afflitta e dagli affanni

rimpiangerai della mia voce il canto

che vana lode fu alla tua bellezza

altera e schiva e della tua vecchiezza

consolazione cercherai nel pianto.

Ed io, io che vicino a te sospiro,

io che un tuo bacio aspetterò clemente,

prossimo alfine all’ultimo respiro,

ricorderò con nostalgia struggente

quelle tue mani il petto il collo il viso

i fianchi le caviglie e il bel sorriso.

Homo Faber

giovedì 3 gennaio 2008

Racconto - La mia tavola in un giorno di festa

Il giorno del mio compleanno, del prossimo voglio dire, verso mezzanotte, tutti lì a guardarmi attoniti, voglio saltare a piè pari sulla tavola, una tavola un po’ deboluccia, forse preziosa, certo instabile, voglio saltarci sopra e ballarci come so fare io, cioè in maniera sensuale e ironica, abile e divertente, al ritmo di salsa e cha cha cha, all’inizio, per scaldare i miei muscoli e l’ambiente, passando poi al flamenco, per testare la reale solidità del tavolo, ma sarà un passaggio rapido, così mi son messo d’accordo col mio amico che smanetterà le musiche, forse anche un breve lento con una delle mie giovani amiche, per concludere con una scatenatissima musica balcanica, che mi prende la pancia e me la fa vibrare tutta. Poi mi farò dare la torta, preparata con le mie mani sapienti, la terrò con una mano sola, impaurirò un po’ gli amici che mi vedranno piroettare, e concluderò atterrando in ginocchio, dopo un rapidissimo giro di valzer, spengendo le candeline e invitando con un gesto tutti i miei amici al tanti auguri.

Tutti gli anni è così. Invito sempre i miei amici per il mio compleanno e li stupisco con qualche effetto mirabolante, qualche trovata divertente, qualche piccola sorpresa. L’anno scorso, una cosa semplice, in una stanza semivuota, ho steso in terra decine di grandi fogli di carta, quelli usati per le lavagne a fogli mobili, altre decine fissati alle pareti, solo il soffitto era libero, ho fatto entrare gli invitati a piedi scalzi e ho chiesto loro di sbizzarrire la fantasia. Dopo i primi momenti di titubanza, alcuni hanno cominciato a far qualcosa, gli altri guardavano, poi sono venute fuori le idee, e le discussioni su quel che stavano facendo, gli scherni giocosi e gli apprezzamenti, gli oh! di meraviglia, e alla fine tutti si sono stesi in terra o attaccati alle pareti, e hanno liberato la fantasia. Chi ha scritto una poesia, chi un augurio piccolo piccolo, chi ha fatto un bel disegno, chi una semplice firma, chi ha preso le tempere e si è messo a pasticciare con le mani. Un’opera d’arte collettiva, che ho fotografato in lungo e largo, e un pomeriggio insolito in cui tutti sono tornati a casa convinti di essere un po’ diversi rispetto a quando erano arrivati.

E potrei andare avanti così, eh. Compleanni, carnevali, ferragosti: mi piace radunare un bel gruppo di persone, amici o amiche, amici degli amici, single incalliti, gay, coppie con o senza bambini, divorziati in cerca della nuova anima gemella. Li metto tutti insieme, non sto a guardare se uno va d’accordo con l’altro, se questo si fa vedere solo di rado, se l’altro viene solo per qualche interesse particolare. Io chiamo, loro, se vogliono, rispondono. Non faccio sempre il protagonista, non sempre. A volte me ne sto lì assorto su una sedia, rido e sorrido agli altri, ascolto silenzioso, sbrigo quel che c’è da fare, metto un po’ di musica. Poi a una certa ora, buoni e cattivi, tristi e felici, tutti a letto, io per primo, ci sono già, mentre gli altri guidano verso casa, sotto le coperte già sogno la prossima festa.