Dei
concorsi letterari.
Dei
soldi guadagnati (pochi, comunque troppi).
Dei
concorsi per lavoro, che ogni tanto faccio ancora, anche se mi limito a mandar
raccomandate, a guardare i libri, a
sfogliarli, a volte a sottolinearli, a
presenziare alla prima prova. Alla seconda non arrivo mai.
Del
pendolarismo.
Di
googlenews, corriere.it, gazzetta.it, pagina99.it, Internazionale.it, e
addirittura iltirreno.it, di whatsapp e quei maledetti gruppi, di facebook e del peggio
del peggio, dei callcenter, di amazon, delle mail, delle newsletter, degli
algoritmi, della connessione internet troppo lenta, dell’aggiornamento del pc,
degli antivirus, delle password da cambiare, delle foto da scaricare,
dell’homebanking, dello spid, del cloud, delle pagelle online.
Del
fatto che leggo troppo.
Della
pagina bianca e del cervello vuoto.
Del
teatro, quello visto e quello fatto.
Della
carenza di sonno.
Del
mal di gambe.
Dei
fine settimana al mare.
Del
fatto che non ho nulla da dire.
Del
fatto che non c’è nulla da dire.
Dei
viaggi, della burocrazia, della casa da rimettere, delle lavatrici da fare, dei
regali, delle cene, delle pulizie, dei
supermercati e dei centri commerciali
(la colpa è loro a prescindere, su tutto).
Del
figlio che calcio, tennis, bici, skate, compiti, danza, laboratori,
biblioteche, dottori, compleanni, ninnenanne, docce, waterclosets.
Del
fatto che non vivo in Islanda, dove fanno due lavori a testa e trovano il tempo
di leggere il doppio di noi e di far figli e di ubriacarsi e di scrivere
magnificamente e di andare ai mondiali di calcio e di essere anche più belli.
Stronzi.
Di
Etgar Keret, Kazuo Ishiguro, Herman Koch, tanto per dirne alcuni scoperti da
poco, o di Karl Ove Knausgard, di Ian Mc Ewan, di Thomas Bernhard , lui poi,
massimo colpevole. Tutti scrittori che uno dice: ma che scrivo a fare? Meglio
legger loro e festa finita. Che senso ha scrivere?
Perché? Che cosa dà in più non dico
agli altri, questo no di sicuro, ma a me
stesso?
E’
colpa di tutti e di tutto, fuorché mia.
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