lunedì 8 ottobre 2007

Racconto - Apro gli occhi

Apro gli occhi, sono sveglio. Cerco di capire dove sono, guardo verso la finestra alla mia sinistra, ma la finestra non c’è. Non sono a casa mia, non è la mia camera. Guardo in alto, vedo la rete della branda sopra di me. Mi volto: decine di brande a castello. Il muro è grigio, il soffitto è grigio, il pavimento di cemento è grigio. Pochi attimi. Sei e trenta: sveglia. Urla, urla a squarciagola, bòtte, bòtte dappertutto, manate alle ante degli armadietti, calci alle brande. Sveglia! Sveglia! Sveglia! Venti minuti: salta giù dal letto, apri l’armadietto, prendi le tue cose, corri in bagno, piscia, làvati, fatti la barba, torna alla branda, metti la mimetica, i calzini, gli anfibi, la cerata, disfa il letto, fai il cubo. Un ragazzetto, grossomodo la mia età, venti centimetri meno, si avvicina, lo butta in aria: rifallo. Si accorge di un altro, un tipo alto, biondo e molto lento che cincischia con le scarpe. Gli corre incontro. Urla, insulti, bestemmie. Do un’occhiata alla scena, poi riprendo. Fai il cubo, controlla i vestiti, corri, corri, corri, giù dalle scale, tutti in fila. Muoversi cazzo, muoversi rincoglioniti. Sotto i portici fa freddo, nel piazzale c’è la nebbia. Sono con i miei amici fraterni, amici da lungo tempo, due settimane ormai. Soffro come loro, piango come loro, svengo come loro. Vai in fila per la colazione, tieni la gavetta in mano. Un po’ di latte, una piccola pasta confezionata. Mangia rapido, rimettiti in fila, torna nelle camerate. Urla, insulti, bestemmie.

Qualche minuto di attesa. Prendo la mia borsetta: il dentifricio, lo spazzolino, il sapone da barba, il rasoio. Vado al cesso, ma non devo pisciare. Appoggio le mie cose in terra. Sento ancora le urla fuori. Chiudo la porta. Mi fermo un attimo, guardo in alto, chiudo gli occhi, respiro profondamente. Mi chino, prendo il rasoio, mi rialzo, slaccio il bottone della manica sinistra. Guardo il polso, appoggio il rasoio sopra, incido piano, da sinistra verso destra. Non tremo, posso continuare. Ruoto la lametta, parto dalla base del polso, squarcio la vena incidendo dal basso verso l’alto, più a fondo possibile. Il sangue sgorga, abbondante. Bravo, Valerio. Ancora un momento, inspiro, espiro. Alzo la testa, stringo il rasoio, lo appoggio sulla parte sinistra del collo, taglio velocemente da sinistra verso destra, più che posso. Lascio cadere il braccio, apro la mano, sento cadere il rasoio. Scivolo pian piano a terra. Semisteso, attendo. Ancora urla fuori, ora sento che si allontanano. Il sangue sgorga, sgorga, sgorga. Si spande sulla cerata, poi sui pantaloni. Ora è in terra. Silenzio, sono solo. Penso a chi sta fuori, in fila, in marcia. Un-due, un-due, march! Urla, insulti, bestemmie. Attendo. Forse non sono stato abbastanza bravo, dovevo andare più a fondo. Ma ora non ce la faccio a riprendere la lametta. Comincio a sentire torpore, perdo le forze, mi si annebbia la mente. Quanto dura? Speriamo di non soffrire, vorrei svenire. Sento qualche passo nel corridoio, adesso qualcuno è entrato nel bagno. Forse sta controllando, dovrei tenere la maniglia. Non ce la faccio, è troppo lontana. Ecco, se ne va. Quanto sangue, non dovrebbe mancare molto. Mamma, non piangere, scusa. Non ce la facevo più. Ho tentato in tutti i modi, ma è un peso troppo grande per me. Scusa, sorellona Scusate tutti, se vi ho dato questo dolore. Provo ad ascoltare fuori, non percepisco niente. Spero che finisca presto. Dovrei svenire, comincio a perdere i sensi. Ancora gli anfibi nel corridoio, forse entrano. Rumori. Sono qui. Forse è troppo tardi. Eccolo. Apre la porta, vedo solo le gambe. Silenzio. Scalpiccio di anfibi. Che cazzo fa? Venitemi a prendere, sto morendo. Urla, urla forti nel corridoio. Oh! Oh! Un gran casino. Provo ad alzare la testa, ce la faccio ancora. Incrocio gli occhi col mio caporale, non ho la forza di pensare a quello che vogliono dire i suoi occhi, i miei occhi. Mi ha urlato in viso fino a pochi minuti fa. Mi lascio andare giù, disteso del tutto. Mi trascinano di schiena. Sento ancora urla e imprecazioni. Sono fuori del cesso, mi tirano ancora. Mi mettono a sedere in terra, dev’esserci il caporale dietro me. Signore, mi tenga lei. Guardo le strisce di sangue lunghe un paio di metri. Cazzo, non pensavo di restare nel mezzo. O di qui o di là. Non voglio soffrire, quanto ci mettono? Ancora urla. Perché non svengo? Resisto un altro po’. Ancora rumore di anfibi, più forte. Non riesco a tirar su la testa, ma alzo gli occhi e vedo un tipo in mimetica, la fascia con la croce rossa al braccio e una valigetta in mano. Mollo tutto, mi faccio tenere dal caporale. Come ti chiami? Non rispondo, non ce la farei neanche, che importa ormai? Arriva il dottore. Ce la faccio a vedere che mi stanno fasciando tutto, bloccano il sangue, forse non ce l’ho fatta. Mi stendono in terra, mi spostano, mi sballottano. Sono stanco, voglio dormire.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Sei un grande, Silvio.
Molto bello.
Un pò crudo.... diamine.. certe cose non riesco a concepirle nemmeno per finta!!!!
Grande Silvio. Grande fantasia.
Gianni.
P.s. non sono sicuro che ti arrivino questi commenti: batti un colpo.
Gianni.

Anonimo ha detto...

Modo indicativo, tempo presente, prima persona singolare, a volte seconda, a volte perfino terza. Ma esistono altri modi e altri tempi, indispensabili per salire un po' più in alto.
Homo Faber

Anonimo ha detto...

Chiamami Viola, perche è il fiore che più amo, per la sua delicatezza e il suo colore.
Ti ho letto d'un fiato e quando sono arrivata in fondo ho ricominciato da capo e alla fine ho lasciato scorrere le lacrime che avevo trattenuto fino a quel momento!
Sei in gamba, continua a scrivere...
Viola

silviodulivo ha detto...

Gianni. Tre "grande" in un sol colpo... Si vede che te ne intendi! Si vede che sei un argutissimo lettore! Un eccellente critico! Però non è tutta fantasia

Homo Faber. Agota Kristov è salita molto più in alto con frasi semplici e secche, con il modo indicativo, con il tempo presente. Entra nella pancia del lettore senza usare altri modi e altri tempi (che comunque io uso in altri racconti, questo è uno dei primi che ho scritto). Posso cercare di migliorare da un punto di vista della forma, cercare altre soluzioni stilistiche, altre strutture, ma non potrò mai essere a livello di un professore di lettere e neanche di un laureato. Se, oltre che soddisfare me stesso con la scrittura, voglio essere interessante per qualche lettore devo cercare altre vie. D'altronde ci sono eccellenti critici letterari che sono anche mediocri romanzieri, e non mi sembra che gli scrittori abbiano fatto tutti importanti studi letterari, anzi.

Per Viola. Se hai provato delle emozioni, per qualunque motivo ti siano scaturite, sono contento. Spero di farlo anche con altri racconti. Grazie

Anonimo ha detto...

Che un'ungherese che vive in Svizzera e scrive in francese abbia dei limiti linguistici è naturale. Uno scrittore che scrive nella propria lingua di limiti non dovrebbe averne. Gli studi letterari e la laurea? Non credo che servano a molto e senz'altro non sono indispensabili. È più importante ciò che si legge, in fondo è lì che si sceglie.
Homo Faber