lunedì 10 dicembre 2007

Racconto - Carni

Si muovono sempre in coppia, decenni e decenni sempre insieme, le stesse persone, le stesse parole, gli stessi gesti, le stesse domande. Non si rincorrono, non urlano, non tremano, non si picchiano, forse lo hanno fatto quando erano giovani, quando i muscoli erano efficienti, gli ormoni galoppavano senza sosta dentro il loro corpo e i pensieri dentro la loro mente, se per qualche attimo sono riusciti a fuggire alle corde dell’oppressione, o della salvezza, alle camicie di forza della mancanza di umanità, o di alternative, ai lucchetti dell’indifferenza, o della disperazione, ora non più, i muscoli sono flaccidi, i pensieri inscatolati, gli ormoni azzerati, forse anche loro un tempo su è giù lungo questi corridoi a imprecare, insultare, picchiare, forse anche loro qualche volta seduti accanto carezzandosi le ferite, non posso chiederglielo, ora che camminano lungo il viale d’alberi senza foglie, con un cappotto troppo piccolo per ripararli dal vento che entra nei loro pigiami, non posso fare domande, non hanno più risposte, se mai le hanno avute, quello che vorrei sapere è se anche loro, chissà, eh, chissà se anche loro, come me, li vedono, li sentono, magari li toccano, o ne sentono l’odore, ah! se potessi sentirne l’odore, sfiorarne per un attimo la pelle, forse non mi basta vederli e sentirli per comprendere due morti che continuano a vivere in mezzo ai vivi, non mi basta ascoltare le loro voci, guardare le loro mani, forse ho bisogno di fiutare il loro sudore, ho bisogno di toccare le loro carni, chissà se questi due uomini che ora camminano lenti a braccetto trascinandosi dietro l’un l’altro riescono a vederli, sentirli, annusarli, toccarli, vorrei chieder loro: li conoscete, sono stati vostri vicini, amici, compagni, sapevate già il loro destino, e il vostro, ma no no no, come possono saperlo, se neanche i morti conoscono il loro, figuriamoci, però, però, però il coraggio vorrei trovarlo, quando nessuno dei miei colleghi ascolta le nostre conversazioni, quando siamo soli noi tre in attesa di una bevanda calda che riscaldi il corpo infreddolito da muri ammuffiti e pavimenti umidi, quando mi parlano come se fossi davvero in grado di parlare loro, io no, io non posso penetrare le loro parole, i loro visi, i loro pensieri, non posso scoprire il loro passato, posso solo vederli mentre camminano insieme, vagano insieme in queste stanze che non sono più le stesse, ma loro sembrano non vederlo, continuano a vedere infermieri e medici, uno dei due, quello che sempre precede l’altro, e lo trascina, e lo comanda, mi si avvicina e si lamenta del mal di schiena e di come non lo hanno curato bene e le punture, le punture, gliele hanno date, sì, le punture, sì, ma non hanno alleviato, come sempre, il suo dolore, ci sono solo pochi giorni di felicità nei loro anni, ed è quando abbandonano le stanze ammuffite, i corridoi lunghi, le grate di ferro, i viali alberati, e tornano a casa, tornano bambini forse, forse solo da bambini hanno goduto della libertà di costruirsi il presente, e di vivere la vita con i propri muscoli, i propri ormoni, i propri pensieri, prima che fossero annichiliti dai pensieri di altri, i pensieri di gente che ha deciso per loro, ha segnato la loro strada, ma presto tornano qui, questi vecchietti dagli occhi talvolta ancora vivi, benché sarebbe stato meglio per loro se non avessero visto i loro occhi, ascoltato le loro orecchie, sentito le loro carni, sempre insieme perché non possono fare a meno l’uno dell’altro, e quando morirà uno morirà l’altro e forse anche loro, vorrei che non fosse così, vorrei che potessero fuggire almeno da morti, forse anche loro da quel momento si ritroveranno qui a dire le stesse cose, a fare le stesse cose, a pensare le stesse cose, non sapranno niente del loro futuro e il loro futuro sarà questo presente, senza pelle e senza carne, senza tatto e senza odore, ma sempre qui, sempre chiusi, sempre incatenati, sempre uguali, uguali, uguali.

12 commenti:

Stranistranieri ha detto...

Questa storia mi ha fatto pensare ad un film molto bello di qualche anno fa: "Dolls" di Kitano, un regista giapponese.Mi ha riportato alle atmosfere cupe del film.

Anonimo ha detto...

Cari tutti,

Alle volte sono così "lontano" da tutto che leggere i vostri racconti mi aiuta a tornare in mezzo all'umanità. Noi navighiamo, o miei diversi amici, io di già sulla poppa voi sulla prora fastosa, e ammiro, sinceramente, la vostra capacità di "parlare" e di "riunire", attraverso poche righe,intorno ad un focolare compagni di viaggio, io che mi perdo nel cerchio deserto della mia lampada sul vuoto foglio. Ho letto alcune interpretazioni su chi io sia. Forse "leggendo" queste parole qualcuno potrà pensare di riconoscermi ma io non sono altri che Ismaele. Comunque Chiara preparati, perchè quando "torno" ti prendo e ti porto via.

Ismaele

Anonimo ha detto...

Ma chi sarà questo grande vecchio che all'ombra dei suoi vocativi sulla poppa (qui mi sembra anche una parolaccia)ascolta i nostri squittii e ci osserva magnanimo?

silviodulivo ha detto...

Ma chi sarà, eh, chi sarà?
Chi saranno questi anonimi, o conosciuti, uomini e donne, che lasciano pezzi di sapienza in uno spazio piccolo sempre pronto ad accoglierli? Che importa il nome, il cognome o la foto, se maschio o femmina, se bello o brutto. Grazie solo per aver messo un'impronta in questo luogo.

Unknown ha detto...

Anch'io ho pensato a Dolls, leggendoti.Come sei bravo, caro Silvio. E saggio. Un abbraccio, Liz.

Anonimo ha detto...

Adesso capisco perchè torno con il mal di testa e ancora c'è la cena da preparare, il gatto da sfamare, la lavatrice da vuotare: l'ha preso il mare, non posso che prenderne atto. Ma io prendo del nimesulide, scaldo carne e purè del giorno prima e l'aspetto con la pazienza di Florentino perchè è l'uomo che amo.

Stranistranieri ha detto...

ma di chi è il gatto? e Florentino chi è? non si diceva la pazienza di...? non mi ricordo

silviodulivo ha detto...

"E fino a quando crede che possiamo contnuare con questo andirivieni del cazzo?" gli domandò.
Florentino Ariza aveva la risposta pronta da cinquantatrè anni, sette mesi e undici giorni, notti comprese.
"Per tutta la vita" disse.
E il gatto è di lei, di quella che ha la pazienza di Giobbe, ovvero la pazienza di Florentino Ariza

Anonimo ha detto...

Sono contenta che tu sia tornato con un altro dei tuoi racconti.
Viola

silviodulivo ha detto...

Ma che è, il blog degli anonimi?

Anonimo ha detto...

Per quel che mi riguarda, preferisco restare anonima!
E poi non trovi che un po'di mistero sia più intrigante? Perchè svelare sempre tutto?

silviodulivo ha detto...

Sì, sì, liberi tutti di fare quel che si vuole.