martedì 26 febbraio 2008

San Salvi / 9

Riassunto delle puntate precedenti. Un precario della Pubblica Amministrazione, condannato a vita a lavorare in un ufficio dell'ex-manicomio di Firenze, sogna di essere uno scrittore e cerca materiale relativo all'ospedale psichiatrico come spunto per il suo primo romanzo, pubblicando i propri appunti per i suoi quattro lettori.

Luciano Buricchi ha scritto per LoGisma Editore “Dovevate vederli”. Nel ‘73 entra a San Salvi come ausiliario. Nel 2003 racconta in questo libro i suoi primi trenta giorni di manicomio.
Nel frattempo c’erano 24 reparti fra uomini e donne 1600 ricoverati, puzzo di creolina e fec,i sguardi di traverso, voci e ancora, tresche amorose gli ultimi elettroshock, camicie di forza e terapia del sonno. Avevo scoperto una cosa incredibile. Al primo piano c’erano una ventina di persone sottochiave. La chiamavano infermeria. Qui venivano ricoverati gli acuti provenienti dal territorio. Ecco perché il reparto era così tranquillo. Il fior fiore era stato rinchiuso. Alcuni reparti erano del tutto aperti e i ricoverati vi potevano liberamente circolare, altri, del tutto chiusi. Poi c’era, ed erano la maggioranza, i reparti che al loro interno nascondevano zone chiuse, nei quali erano riposti i matti meno controllabili. Gli acuti. Questa diversità mi faceva intuire la presenza di approcci diversificati e contrastanti tra loro, non solo alla questione psichiatrica in senso stretto, ma persino al modo di concepire il mondo. La via coercitiva e custodialistica intendeva preservare la parte sana estromettendo il marciume. Di qua i buoni di là i cattivi. L’altra invece si proponeva di occuparsi di questo marciume, pur sempre composto da persone. Conobbi l’allegra compagnia degli alcolisti del Nono Uomini […] Gli alcolisti erano gente navigata. Non vedevano l’ora di dirti quanto. Erano stati tutti qualcos’altro prima. Cuochi, comparse, commessi, operai, avvocati; era per questo essere stati qualcos’altro che amavano differenziarsi dagli altri ricoverati. Adesso avevano dentro quella maledetta tenia del vino ma… una volta. Non erano mica come i matti loro. Erano stati qualcuno, loro. Adesso provvisoriamente… ma le cose sarebbero presto cambiate. “Santini, vieni qua un attimo” lo chiamai. Sempre il cognome. Non dev’essere molto piacevole sentirsi chiamare così per tutta la vita. Mai un Giovanni, un Anselmo, un Ubaldo. E poi quel tu. E tu, vieni qua tu, stai attento tu, tu, tu… tu. Anche persone mai viste prima, vedendolo con quella specie di divisa da matto, gli davano del tu, e lui rispondeva con il lei. … l’ispettore pensò bene di mettere subito alla prova questa mia decisione mandandomi al Quinto. Era sufficiente passarci vicino perché lo chiamavano “quinto merda” […] impugnai la chiave , deglutii, un’ultima boccata d’aria fresca e via dentro. Il segreto era respirare con la bocca e dimenticare il naso. Se avessi subito vomitato mi avrebbero preso in giro per una vita. Mi schizzarono fuori gli occhi, ma non feci in tempo a riprenderli, ero troppo impegnato a dimenticare il naso. Inutile, qualcosa di dolciastro e putrido, di mai sentito mi assaliva alla gola e poi penetrava dagli orecchi, dalla testa, da ogni poro della pelle. Non c’era scampo[…] Nel corridoio, che mi parve angusto e buio, una moltitudine informe si rotolava, camminava, si sdraiava, si arrampicava, faceva versi gutturali, pisciava […] Alla mia destra la porticina del ripostiglio, l’aprii e ci vomitai. E che cazzo. Non mi vide nessuno, ma sarebbe stata la stessa cosa, era al di là di ogni mia capacità trattenermi. Buttai un po’ di segatura sul pavimento dove avevo vomitato e col viso cereo cercai di affrontare la situazione [….] Molti del Quinto erano “matti d’allevamento”, cioè venivano direttamente dal Medico Pedagogico. Una specie di manicomio cadetto per allievi matti. Quando i bambini crescevano venivano portati in serie A, il manicomio vero. I due istituti erano così vicini che nel trasferimento i non più bambini non facevano in tempo a vedere nulla del mondo. Forse un semaforo, delle auto, un’insegna del bar; dei bambini in regola, per mano alle loro madri. Apparizioni mai comprese fino in fondo e che il tempo avrebbe contribuito a rendere fantastiche. Quando un infermiere montava in servizio spesso li vedevi avvicinarsi e sorridenti dire: macchina rossa, semaforo? Chiedevano informazioni sul fuori che per loro consisteva soltanto in una macchina rossa e un semaforo […] La loro autonomia era da favola, consumavano pochissimo: una polpetta, un piatto di minestrone, un bicchiere di vino; non di più, caso mai di meno, E tutto questo per 365 giorni l’anno [….] Si buttavano con voracità su qualsiasi cosa gli venisse messa davanti. Mugolii, gesti, sguardi. Li vedo ancora, urinare per terra e allo stesso tempo mangiare una mistura semisolida fatta con pane spezzettato, minestra e carne tritata. Il piatto unico del manicomio. Alcuni stavano accovacciati sulle sedie, altri si protendevano scivolando, scalzi, su quel pavimento dove minestra e urina si confondevano. Saranno stati in trecento, anche quattrocento forse. La sera si dovevano legare quasi tutti al letto, ma questa, intendiamoci è archeologia. Quando avevi finito con l’ultimo era ora di slegare il primo. Che vita di merda. Fra la paura dell’ispettore, i pazzi e tutto quanto… E le camerette di consegna? Un materasso per terra e via, una coperta. Gli mettevamo quelle tute grigie. Legate dietro. E poi gli spioncini alle porte, come in carcere, che uno ci appiccicava sempre la merda per non farci vedere dentro.

7 commenti:

Anonimo ha detto...

ecco cosa dice il portale di psichiatria, sull'elettroshock

http://www.psichiatria24x7.it/

Terapia elettroconvulsivante (ECT) o elettroshock
La terapia elettroconvulsivante (ECT), chiamata anche elettroshock, viene utilizzata soprattutto quando le altre cure hanno dato risultati insoddisfacenti o nell'eventualità in cui non sia possibile attendere che il farmaco faccia effetto (cioè se il paziente rischia di suicidarsi). L'ECT è efficace per le persone affette da depressione grave e agisce rapidamente.
L'ECT consiste in una breve applicazione di stimoli elettrici per produrre una breve convulsione generalizzata. Non è ancora stato chiarito come e perché l'ECT funzioni, né quali siano gli effetti delle convulsioni sul cervello. Negli anni '40 e '50 questo trattamento veniva utilizzato soprattutto per le persone con gravi malattie mentali. Oggi viene usata per trattare i pazienti con depressione grave, mania acuta o alcune forme di schizofrenia.
L'elettroshock può essere utile nei seguenti casi
Depressione grave con insonnia (problemi di sonno), alterazioni del peso corporeo, senstimenti di disperazione o di colpa, pensieri suicidi od omicidi.
Depressione grave che non risponde agli antidepressivi (farmaci usati per la cura della depressione).
Depressione grave nei pazienti che non possono assumere antidepressivi.
Mania grave (eccessiva loquacità, insonnia, perdita di peso e comportamenti impulsivi) che non risponde ai farmaci.
L'ECT viene effettuato tramite una serie di trattamenti, circa tre volte alla settimana per 2-4 settimane. Prima del trattamento viene effettuata un'anestesia generale e somministrati farmaci per rilassare i muscoli. Gli elettrodi vengono quindi collegati alla cute della testa e si applica una corrente elettrica che provoca una breve convulsione. Il paziente si risveglia qualche minuto dopo senza ricordarsi degli avvenimenti durante il trattamento. Al pari degli altri trattamenti antidepressivi, è spesso necessario continuare la terapia con farmaci o con occasionali ECT, per impedire che la depressione si ripresenti.
Per massimizzare i benefici dell'ECT, è essenziale che la malattia del paziente sia diagnosticata accuratamente e che i possibili rischi ed effetti collaterali siano valutati in confronto a quelli di altre terapie. Gli effetti collaterali più comuni sono: perdita temporanea della memoria a breve termine, nausea, dolori muscolari e mal di testa. A volte si verificano alterazioni della pressione sanguigna e del battito cardiaco; in questo caso vengono monitorate durante l'ECT e curate immediatamente. Generalmente gli effetti collaterali dell'ECT non hanno una lunga durata.
L'uso di questa terapia è ancora molto discusso, soprattutto per quanto riguarda la sua efficacia e gli effetti collaterali. Il timore che possa provocare una perdita permanente della memoria e uno stato confusionale porta molti esperti a prescrivere questo tipo di trattamento solo come ultima risorsa. Mentre alcuni studi hanno dimostrato un miglioramento dell'80% nei pazienti con depressione grave sottoposti a questo trattamento, altri studi indicano che i casi di ricadute sono frequenti, anche nei pazienti che proseguono la cura con i farmaci.

HV

Stranistranieri ha detto...

E' molto ineteressante il libro che hai trovato, lo cercherò in libreria. In quanto all'ect, penso semplicemente che sia stata un'invenzione per esaltare la superiorità dei "normali" sulla diversità e un sistema per gestire più tranquillamente tante persone ammassate nello stesso posto. In quanto ad essere una cura, forse non ci ha mai creduto nessuno.

Anonimo ha detto...

Non è vero che non ci ha mai creduto nessuno, in realtà si possono trovare tantissime pubblicazioni favorevoli all' ECT soprattutto nel trattamento di gravi forme depressive verso le quali risultano inefficaci altri trattamenti, e comunque l'unica alternativa terapeutica attuale è il ricorso agli psicofarmaci, ritenuti molto più pericolosi. Oggi l'ECT si pratica presso centri specialistici regionali, sotto anestesìa. Naturalmente io non ho nessuna opinione in materia non essendo competente, credevo anch'io che l'ECT fosse un retaggio del passato seppellito dalla legge 180, ho scoperto invece che non solo è ancora praticato in appositi centri ma che ha anceh tantissimi sostenitori. Basta girare sul web e si possono scoprire cose molto interessanti in materia.

H.V.

luna ha detto...

Recentemente anche un illustre ricercatore in materia come Cassano , si è schierato a favore di questo trattamento,sostenendo che l'errore del passato è quello di aver usato l'ellettroterapia senza controlli , finendo per abusarne o utilizzarla quando non ce n'era bisogno.
Cassano afferma che in caso di depressioni farmacoresistenti , l'ECT può rappresentare una soluzione.
Io non ho le competenze per esprimermi oggettivamente ; penso che la malattia mentale quando lascia la capacità di riflettere su se stessi e di " vedersi" è una dimensione di tale orrore che tutto ciò che può contribuire ad alleviare questa sofferenza è da prendere in considerazione .
Luna

silviodulivo ha detto...

Uno, tipo il sottoscritto, vorrebbe alzarsi la mattina e avere delle certezze. Tipo: l'elettroschock è una cosa brutta, è un retaggio del passato. Invece si informa, dà un'occhaita su internet, leggiucchia qualcosa. E i pente d'averlo fatto.

Luna. Penso che quando la malattia mentale dà la possibilità di vedersi e di riflettere su se stessi c'è ancora speranza e buone possibilità di guarigione. Quando dall'esterno, sotto qualsiasi forma, si annulla questa possibilità è la fine dell'uomo.
Silvio

Anonimo ha detto...

Da quello che ho capito c'è una discussione in corso molto serrata e che coinvolge anche le Istituzioni, questa per me è la sorpresa... perchè ritenevo che la questione fosse stata chiusa trent'anni fa... continuo a non avere opinione in materia per assoluta incompetenza, tuttavia oggi si parla di trattamenti a cui sottoporsi solo volontariamente (ci mancherebbe),in casi estremi e in condizioni particolari. L'obiezione di Silvio la capisco ma allora dovrebbe estendersi anche all'uso di psicofarmaci, quindi la questione diventa un'altra.
H.V.

silviodulivo ha detto...

Infatti ho detto "sotto qualsiasi forma" e pensavo in primo lugo ai farmaci, ma ci sono forme di annullamento anche meno evidente e ugualmente devastanti. Già l'internamento in manicomio, di per sé, per come era strutturato luogo di prigionia e isolamento, non di cura) era un modo di impedire l'autosservazione e di annullare la speranza.

Di quello che ho letto finora, a parte l'elettroschock, sono rimasto colpito dall'esistenza di un padiglione per i bambini, in particolare da quel brano di Buricchi riportato nel post (i bambini che vengono trasferiti dal padiglione pedagogico al manicomio vero e proprio). Cercherò di saperne di più
Silvio