venerdì 15 febbraio 2008

San Salvi/ 8

Riassunto delle puntate precedenti. Un precario della Pubblica Amministrazione, condannato a vita a lavorare in un ufficio dell'ex-manicomio di Firenze, sogna di essere uno scrittore e cerca materiale relativo all'ospedale psichiatrico come spunto per il suo primo romanzo, pubblicando i propri appunti per i suoi quattro lettori.

Ancora appunti da D. Lippi, San salvi, Storia di un manicomio.

Nel primo periodo dell'apertura del manicomio le terapie sono basate su farmaci e idroterapia. Nella cura degli alcolisti viene data grande importanza ai bagni tiepidi, in caso di “viva agitazione” vengono prescritti oppio (via orale o iniezione) e morfina. Dopo l’accesso all'ospedale viene somministrata stricnina. La terapia farmacologica è a base di sedativi e cardiotonici, ma anche di iniezioni di insulina. Successivamente anche eroina e morfina. Frequente l'iniezione quotidiana di dosi progressivamente crescenti di insulina per provocare coma ipoglicemico profondo, interrotto con somministrazione di zucchero per via gastrica o di glucosio per via endovenosa.

L’elettroterapia (elettroshock) ha come indicazione elettiva la malinconia. Gli accessi convulsivi si attuano mediante il passaggio, attraverso il cranio, di una corrente elettrica di 100-130 volt, della durata di 2 decimi di secondo. L’apparecchio viene comprato negli anni '40 e più tardi viene acquistato un secondo apparecchio portatile per le cure a domicilio. La psicoterapia inizia negli anni '40, sempre in unione con altri interventi terapeutici. Negli anni '50 la cura dell’ansia prevede lo shock iperpiretico con zolfo endomuscolo o con vaccino in endovena. Le nevrosi continuano ad essere curate tradizionalmente: medicamenti sedativi a cocktail (luminar, bromuro, giusquiamo, passiflora)

Ergoterapia, ovvero cura della malattia con il lavoro (vedi foto). I malati vengono pagati con cibo supplementare o denaro o tabacco. I lavori sono commissionati dall’istituzione o dall’esterno. I lavori prevalenti sono: filatura della canapa, realizzazione materassi, lavorazione della paglia (donne); facchinaggio, muratura, falegnameria (uomini). L’infermiere è il responsabile dell’inserimento nel gruppo di lavoro e osservatore continuo degli atteggiamenti/reazioni/umore del malato. Lavorano i più puliti e tranquilli, in regime di open door e no restraint (senza contenzione del malato).

Nel 1905 venne aperta una “vaccheria” con 28 mucche e un’altra nel 1908. Nel 1911 la produzione di verdure degli ospiti di San salvi soddisfaceva il fabbisogno di San Salvi stesso e di Castel Pulci (l'altro manicomio di Firenze, poi chiuso; vi soggiornò a lungo Dino Campana).

Negli anni '60 si introducono le terapie attive, in particolare pittura e disegno. Il centro di attività espressive La Tinaia nasce ufficialmente nel 1975. L’arte viene praticata liberamente e quotidianamente da un gruppo di pazienti. Le opere riscuotono successo presso i collezionisti, musei e gallerie europee e americane.

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Dino Campana
cenni biografici


Dino Campana era figlio di Giovanni, insegnante di scuola elementare, uomo per bene ma di carattere debole e nevrotico, e di Fanny Luti, donna compulsiva e severa, affetta da mania deambulatoria, attaccata in modo morboso al figlio Manlio, fratello minore di Dino, natole nel 1887.

Trascorre l'infanzia in modo apparentemente sereno a Marradi ma, a circa quindici anni di età, gli vengono diagnosticati i primi disturbi nervosi che non gli impediranno comunque di frequentare i vari cicli di scuola.

Egli compie le elementari a Marradi, la terza, quarta e quinta ginnasio presso il collegio dei Salesiani di Faenza, poi gli studi liceali in parte presso il Liceo Torricelli della stessa città, in parte a Carmagnola in Piemonte presso un altro collegio, ma quando rientra a Marradi, le crisi nervose si acutizzano come pure i frequenti sbalzi di umore, sintomi dei difficili rapporti con la famiglia (soprattutto con la madre) e il paese.

Il futuro poeta a Carmagnola ottiene la licenza liceale. Nel 1903 si iscrive presso l'Università di Bologna, alla Facoltà di chimica pura, per passare - l'anno seguente - alla Facoltà di chimica farmaceutica a Firenze, ma non riesce a portare a termine la sua carriera scolastica e ha difficoltà a trovare un ordine interiore e una sua vera identificazione. Il suo unico punto di riferimento è la poesia e alla poesia dedicherà e sacrificherà - tra esaltazione e disperata follia - i suoi giorni.


La "fuga"
Egli espresse la sua "diversità" con un irrefrenabile bisogno di fuggire e dedicarsi ad una vita errabonda. La prima reazione della famiglia e del paese, e poi dell'autorità pubblica, fu quella di considerare le stranezze di Campana come segni lampanti della sua pazzia. Ad ogni sua "fuga", che si realizzava con viaggi in paesi stranieri dove faceva i mestieri più disparati per sostenersi, seguiva, da parte della polizia (in conformità con il sistema psichiatrico di quei tempi e per le incertezze dei familiari), il ricovero in manicomio.

Tra il maggio e il luglio del 1906, Campana compie una prima fuga in Svizzera e in Francia che si conclude con l'arresto a Bardonecchia e il ricovero ad Imola.

Nel 1907, i genitori di Campana non sanno più che fare di fronte alla follia del figlio e lo mandano in America Latina presso una famiglia di compaesani emigrati (forse dei parenti). Non si tratta di una "fuga" del poeta, che non avrebbe potuto ottenere da solo un passaporto per il Nuovo Mondo in quanto era già ritenuto ufficialmente "pazzo". È la sua famiglia a procurargli il passaporto e ad organizzargli il viaggio, e Dino parte per la paura di dover tornare in manicomio. I coniugi Campana sostengono di averlo mandato in America con la speranza che questo viaggio lo potesse guarire, ma sembra che il passaporto fosse valido solo per l'andata, per cui si trattò probabilmente (anche) di un tentativo di sbarazzarsi di lui, poiché la convivenza con Campana era ormai divenuta insopportabile per tutti.

Il viaggio in America rappresenta un punto particolarmente oscuro della biografia di Campana: se alcuni arrivano a chiamarlo "il poeta dei due mondi", c'è anche chi invece sostiene che, in America, Campana non ci andò neppure. Numerose sono anche le opinioni sulla datazione del viaggio e sulle modalità ed il tragitto del ritorno.

L'ipotesi più accreditata è che sia partito nell'autunno 1907 da Genova ed abbia vagabondato per l'Argentina fino alla primavera del 1909, quando ricompare a Marradi, dove viene arrestato. Dopo un breve internamento al San Salvi di Firenze, parte per un viaggio in Belgio, ma viene di nuovo arrestato a Bruxelles e viene poi internato nella "maison de santé" di Tournai all'inizio del 1910. Chiede aiuto alla sua famiglia e viene rimandato a Marradi.

homo cinicus

Stranistranieri ha detto...

Barche ammarate

Le vele le vele le vele
che schioccano e frustano
al vento
che gonfiano di vane sequele
le vele le vele le vele
che tesson e tesson:lamento
volubil che l'onda che
ammorza
ne l'onda volubile
smorza
ne l'ultimo schianto
crudele
Le vele le vele le vele.

Da "I Canti orfici" di Dino Campana.

Non sentite il rumore del vento nelle vele e lo schianto provocato dall'ormeggio? Ecco, ogni volta che veniva rinchiuso in maniconomio, sentiva lo schianto. E' morto a Castelpulci in manicomio e sembra che non volesse più parlare o ricordare della sua poesia. - Tanto tempo fa mi dilettavo di poesia - sembra abbia detto a qualche giornalista o scrittore che andò a trovarlo. (Non ricordo dove l'ho letto, forse nella prefazione de I canti orfici editi da Vallecchi che ho prestato al mio amico Francesco)

Anonimo ha detto...

[Campana a Aleramo]

Manicomio di San Salvi, Firenze
17 gennaio 1918

Cara

Se credi che abbia sofferto abbastanza, sono pronto a darti quello che mi resta della mia vita.
Vieni a vedermi, ti prego tuo

Dino*

*Il 12 gennaio 1918 - per ordine del sindaco di Lastra a Signa - Campana venne ricoverato , provvisoriamente nel manicomio di San Salvi, a Firenze. Il 18 marzo l'ordinanza da provvisoria diventa effettiva. Campana verrà dunque trasferito nel cronicario di Castel Pulci. Non si conosce la data del trsferimento, ma Leonetta Cecchi Pieraccini scrive a Sibilla, in data 15 aprile 1918: "So notizie precise di Camp.[ana]. Egli è internato veramente a San Salvi e per giudizio del medico che lo cura affetto da una forma inguaribile" (cfr. D. Campana, Le mie lettere sono fatte per essere bruciate). E la conferma che ad aprile Campana fosse ancora a San Salvi ci viene anche da P. Conti, E' tardi, a cura di G. Cacho Millet, Edizioni Don Chisciotte, Roma 1989, pp. 38 e 46.

Lo stato di dissociazione di Campana si evince anche dalla lettera che Leonetta Cecchi scrive al marito (Emilio) il 4 gennaio 1918: "Ma senti che mi capita stamani. Mi capita Campana. Fin qui nulla di eccezionale. L'eccezionale, l'inaudito è stata la conversazione: il monologo, lo sfogo, il suo dire insomma. A momenti mi pigliava quel profondo sottile tremore che si prova dinnanzi ai pericoli perchè vedevo il viso del mio interlocutore vieppiù alterarsi e gli occhi lustrare come se fossero di vetro. Egli era in uno stato di eccitamento verboso e immaginativo che rasentava la pazzia e spesso si tuffava in piena pazzia. Le teorie dei suoi avvenimenti, delle sue torture, avevano spesso degli accenti di magia, di satanica poesia, ma tutto correva così rapido e contorto e difficile che io non ne ho che una memoria lucida sì, ma inafferrabile, inesprimibile."

S. Aleramo, D. Campana, Un viaggio chiamato amore. Lettere 1916-1918, Feltrinelli, Milano, 2000, pp. 129-130 e p. 28.

Molti anni più tardi, di nuovo a Castel Pulci, quando sembra stare meglio, tanto che si parla di dimissioni, Dino si sente male all'improvviso e il 1° marzo 1932, alle 11 e 45, muore di setticemia a quarantasette anni. Dicono che, tentando la fuga, si sia ferito con il filo spinato della recinzione del manicomio, ma sembra illogico credere a un tentativo di fuga alla vigilia di una possibile dimissione. Dopo sole ventiquattro ore viene sepolto. La giustificazione di tanta fretta è che si teme un'infezione colerica. Nessuno è presente alla tumulazione.

Florentina

Anonimo ha detto...

Vedo che anche Stranistranieri come me ha colto le suggestioni di quel poeta rosso di capelli e abbigliato come un barbone a noi fiorentini (e non solo) così caro, eppure bistrattato dalla critica dell'epoca (si pensi anche alla misteriorsa sparizione della prima stesura dei Canti Orfici).
Le tue ricerche sui luoghi della follia, Silvio, servono anche questo: a rispolverare vicende umane pressochè dimenticate.

Florentina

silviodulivo ha detto...

Mi sono emozionato a leggervi/leggerlo
Silvio

Stranistranieri ha detto...

La tua ricerca potrebbe essere ostacolata da qualche nobile familiare di un vecchio paziente ancora vivente, perchè ha paura che si scopra qualcosa di poco pulito?.... Magari attraverso l'interdizione, è venuto in possesso di una ricca eredità.
Mi sembra ci fosse nella famiglia di mia madre una storia simile per il cognato di una sua cugina, lasciato tutta la vita in manicomio a Volterra. Mi ricordo di aver sentito storie del tipo che quando avevano deciso di tenerlo nella villa (ereditata) lui dicesse che stava bene solo là, allora il fratello si lamentava di non poter stare accanto al suo amato fratellino.
La storia è un po' strampalata, magari potrebbe avere un supporto in possibili documentazioni? Vere o inventate?
Magari pensi che dovrei occuparmi delle mie trame? Si sono un po'impicciona.

silviodulivo ha detto...

Ma chi se ne accorge delle mie ricerche? Boh. Inoltre non so quanto andrò in profondità, vedremo.
Però sarebbe simpatico trovare una storia simile.
Silvio
PS: con Explorer si vede la foto? Io la vedo solo con Firefox; le visualizzazioni cambiano spesso al cambiare dei browser