mercoledì 6 febbraio 2008

Generazioni (di Assia Lazzerini)

Sono le 7:20 di mattina. È praticamente buio ancora e sono in stato comatoso.

Per la strada automobilisti incazzati si fermano ai semafori, mentre le luci notturne cominciano a spegnersi.

Attraverso la strada, quasi a costo della vita, e mi metto ad aspettare l’autobus.

Se sono da sola mi metto nell’angolo il più lontano possibile da tutti.

Buio.

Fiamma.

Buio.

Prima boccata. Le labbra sembrano accendersi a ritmo delle boccate.

La gente che passa mi guarda male.

In realtà li vedo solo i piedi perché ho il cappello tirato giù, ma capisco che mi fissano con un misto tra disprezzo e curiosità.

Sigaretta in mano, cappello nero con i teschi sugli occhi, cappuccio tirato su, giubbotto nero pantaloni scuri e scarpe nere.

Questo basta alla gente per etichettarmi: poco raccomandabile.

Mi specchio nei vetri di macchine e autobus, da lontano, quasi avessi paura di riconoscermi.

Brutta.

Una goccia colpisce il mio riflesso e in un attimo son liquefatta e trasportata via.

Mi tocco il naso per assicurarmi che sia ancora lì. Guardo in su e un gocciolone mi colpisce in pieno viso. Comincio a imprecare sottovoce e finalmente arriva il 6.

Dopo un paio di fermate sale una vecchietta.

Mi spiaccico contro la parete dell’autobus per farla passare.

E lei, pestando me e lo zaino, arriva davanti ad un gruppo di 4 sedili dove sono spalmati 4 o 5 miei amici.

La signora prima li guarda male e poi dice

“ Ragazzi, questo è il vostro ego, che tutte le mattine vi stravaccate sui sedili e che lasciate lo zaino ovunque. Siete davvero poco sopportabili.” Io, che fino a quel momento avevo Sean Paul sparato a tutta nell’orecchio, mi giro sentendo quella sega elettrica che taglia il berillio, la bella voce della vecchietta “ Poi queste signorine che ascoltano musica e fumano da mattina a sera. La musica poi tenuta a volume altissimo…” Fa un sospiro in ricordo dei bei tempi andati, e si guarda intorno.

Parlava con quella voce stridula, grattugiata nel limone che mi fa salire un nervoso assurdo, non so trattenermi “Oh signora, sa com‘è” dico con voce piena di pietà per questa povera signora a cui tocca sopportarci “Noi siamo il futuro del mondo, e ci tocca andare a scuola ma se si potesse evitare sarebbe meglio, insomma una tortura in meno… per noi ma anche per lei che potrebbe prendere l’autobus in pace senza zaini né musiche a tutto volume…” Faccio una piccola pausa teatrale “ E io la invidio sa? Lei che davvero non ha un benemerito cazzo da fare se non venire alle 7:30 la mattina a fa’ la predica a noi…” lo dico con tale naturalezza che la signora ci resta male, ma gli altri scoppiano a ridere.

Non faccio in tempo a smettere di sorridere che una signora di mezz’ età stavolta mi urta e fa “ Con questi zaini… E levateli di mezzo… questo mezzo distrutto di chi è?”

“ Mio” dico cercando di non perdere la calma.

“e allora levalo che non si passa!”

“ sa, signora c’è tanto posto in quest’autobus che quasi quasi ballo un po’ di can-can… si unisce a me signora?”

“ ma come ti permetti?” E facendomi insultare, scendo.

Guardo il cellulare, troppo presto per entrare.

Vedo il mio riflesso, mi volto immediatamente, ne ho quasi paura.

Arrivo al portone e accendo un’ altra sigaretta e non faccio in tempo a chiudere il pacchetto che l’Alessandra me n’ha già presa una.

L’accende, dà un tiro.

“Cazzo, dovrei smettere di fumare così tanto…” e dà una boccata.

Entriamo facendoci inghiottire da questo posto che sarà casa nostra per i prossimi 5 lunghi anni. O 6, come dice l’Alessandra.

10 commenti:

Anonimo ha detto...

In una tematica scolastica di poco rilievo ho apprezzato un paio di immagini che spiccano tanto da giustificare, secondo me, tutto il racconto.
H.F.

Stranistranieri ha detto...

Mi verrebbe da dire"ai miei tempi" e lo ricaccio indietro subito. Sono ancora tutti lì in fila gli autobus pieni di ragazzetti arroganti e scoglionati con la sigaretta che passa di bocca in bocca e a al posto degli zaini, pacchi di libri legati con l'elastico. E LA scuola si amava anche per il suo contorno: gli autobus la mattina, il bar prima di entrare, le forche a primavera, gli amori alle feste d'istituto. Io amavo anche lo studio per quello che mi faceva vedere e intravedere. Ci credevo e continuo a crederci. Un po' meno sigarette e un po' di contentezza in più. La fabbrica a quattordici anni, penso sia un po' più dura.

Anonimo ha detto...

La scrittura di Assia mi appare molto fresca e godibile ma tradisce un'educazione "per bene" molto diversa da quella della bulletta di periferia che intende rappresentare, per certi ruoli bisogna esserci tagliati...non c'è niente da fare.
Mi piacerebbe approfondire quell'"ai miei tempi", sia pur ritrattato, di Stranistranieri poichè credo che fossero, più o meno, anche i miei tempi... e miei ricordi sono alquanto diversi.

Homo Perplessum

silviodulivo ha detto...

Macché! Assia è proprio cattiva, è così.
Feste d'istituto? Da che epoca venite?
Silvio

Anonimo ha detto...

Io e stranistranieri veniamo, forse, dalla stessa epoca... ma abiamo ricordi molto diversi.
Cosa puoi capirne tu, che sei cresciuto negli anni del "riflusso"?

Homo che scuote la testa.

Stranistranieri ha detto...

E ricordo anche le feste al circolo ufficiali vicino alle cascine. Ci saranno sempre? io non ci sono mai andata, criticavo fortemente quelle che si mettevano in ghingheri per essere scelte dal bell'ufficiale. O forse ero un po' invidiosa. Stiamo rotolando nella letteratura d'appendice?

Anonimo ha detto...

Beh.. a questo punto non sono più certo che stiamo parlando della stessa "epoca"... stranistranieri, ma a che secolo appartieni?

Homo disorientatis

Stranistranieri ha detto...

Oltre ad appartenere al secolo scorso, ovviamente, avrò letto un po' troppa letteratura dell'800. E ho mischiato tutto. In classe mia, comunque, la metà delle ragazze aspirava a fare la festa dei diciotto anni (ora no? A Napoli, qualche anno fa, ho visto una famiglia non ricca, spendere tre, quattro milioni (di lire), per il debutto in società della figlia) e sognava il matrimonio strafigo con 200 invitati e tutto il resto. Ora no? E i battesimi, e le comunioni?
Essere ribelli come Assia e odiare tutte le convenzioni borghesi (come ho sempre fatto e come continuo a fare)non significa ignorare quello che ti passa accanto. E mi sembra,che alla fine, tutto sia rimasto un po' com'era. Ribelli da una parte,disposti a mettersi in gioco, integrati e mantenuti dalle famiglie all'infinito, i più. E pochi, adesso, i giovani disposti a battersi per la difesa delle conquiste civili minate dalla chiesa e dalla politica al suo servizio. La 194 parla.

Anonimo ha detto...

Allora, per capire da quali epoche ciascuno di noi provenga... cominciamo a fissare delle date.
Quando mi trovai davanti a "quel posto" in cui si ritroveranno, anni dopo, Assia e la sua amica, era il 1969, e avevo tredici anni. Mi ero presentato col vestitino buono e la faccia della domenica, così come i miei futuri compagni...qualcuno di loro portava anche il distintivo dell'Azione Cattolica all'occhiello della giacchettina.
Molto presto, però, i riverberi sessantotteshi nell'imminente "autunno caldo", finirono con lo strappare i nostri vestitini, allungare i nostri capelli e sporcare le nostre facce della domenica. Di lì a poco cominciammo a ferquentare il circolo maoista animato dal nostro professore di chimica, non so se fosse da annoverare, il professore, fra i "cattivi maestri" del tempo, credo che fosse una brava persona: alla sera ci dava lezioni di Rivoluzione, ci spiegava che il "potere nasce dalla canna del fucile" e che bisognava cacciare il preside fascista, al mattino, come un Fantozzi ante-litteram, arrossiva e si squagliava al cospetto del preside e del bidello (una "spia" del preside). Altri erano i "cattivi maestri", quelli che iniziarono ad inoculare in un'intera generazione il virus della violenza, l'idea della violenza come metodo di lotta politica. Metabolizzammo a tal punto quell'idea che anche quelli come me, cioè la stragrande maggioranza, che mai avrebbero commesso atti di violenza di alcun genere finirono col giustificarla.
Era solo l'inizio, il sèguito fu la tragedia.
Non nascondo che provo disagio nel rivedere questi "lottacontinuatori" sempreterni e attuali maitre-a-pènser dei nuovi padroni dell'Italia di oggi, pontificare dai talk-show televisivi, dalle colonne dei più importanti quotidiani nazionali, dalle edizioni patinate dei loro insulsi libri sempre in prima fila sugli scaffali delle librerie. Talvolta, ma solo raramente, lo fanno da dietro le sbarre della prigione in cui dovrebbero normalmente risiedere, essendovi stati condannati, mentre non si capisce perchè risiedano sempre altrove.
Ci dicevano che dovevamo lottare, noi studenti, contro la "scuola dei padroni", contro la "selezione di classe" e la "meritocrazia". Io non capivo, anzi capivo benissimo: avevo già capito (che genio!) che una società (e una scuola) che non premiasse il merito avrebbe, inevitabilmente, finito col premiare il censo, nel qual caso chi davvero voleva combattere "la scuola dei padroni" e la "selezione di classe" non avrebbe avuto davvero niente da guadagnarci. L'Italia di oggi dimostra che avevo capito bene.
Alla fine di quell'anno scolastico un prolungato sciopero degli insegnanti bloccò gli scrutini e l'allora Ministro della Pubblica Istruzione (Misasi, DC) risolse il braccio di ferro con i docenti promuovendoci tutti con decreto ministeriale.
La scuola faceva schifo, programmi e insegnanti erano inadeguati. Non capiva ciò che stava succedendo, ciò che stava cambiando e quanto era già cambiato: semplicemente si arrese ed abdicò alla sua funzione.
La scuola faceva schifo, era una fabbrica di somari: lingua uffuciale, il dialetto; unica lingua straniera, l'italiano. Arrivati alla maturità, la gran parte dei miei compagni era incapace di articolare il benchè minimo pensiero in un italiano appena corretto, appena senza colossali strafalcioni.
Negli autobus, però, cedevamo sempre il posto alle persone anziane e alle donne (di qualunque età) le quali, solitamente, ricambiavano la cortesìa tenendoci i libri.
E questo è quello che mi "passava accanto", nè mai sfiorato dai gran balli degli ufficiali o delle diciotteni ( ma la maggiore età era a ventun'anni).

Homo del '56

Stranistranieri ha detto...

Hai ragione, ho mischiato un po'. La maggiore età era a 21 anni. Per il resto, non ho ricordi di scuola così devastanti. Uno dei miei professori di lettere era Tabucchi, con tanto di eschimo e capelli lunghi e le lotte e gli scioperi impazzavano.