sabato 10 maggio 2008

Racconto - Inchiostro

Mio nonno lavorava dalla mattina alla sera su grandi macchine di inchiostro e parole. Le parole erano composte da singole lettere in rilievo sporche di nero che mio nonno metteva insieme secondo il gusto e il piacere dei clienti. Possedeva una tipografia e io giocavo con lui alle lettere sporche di inchiostro nero che si imprimevano sulla carta colorata di giallo che avrebbe annunciato tutti gli eventi del paese e dei paesi vicini. Le lettere erano talvolta di corpo tanto piccolo che mio nonno era costretto ad allontanarsi e a fare smorfie per capire qual era la lettera che teneva in mano, o addirittura a inforcare gli occhiali per non sbagliare, ché poi magari i clienti gli avrebbero fatto ristampare tutto. Spesso lo vedevo sbuffare perché non riusciva trovare il carattere giusto o perché, dopo aver steso tutti i blocchetti metallici a comporre le frasi commissionate, si accorgeva di un piccolo errore. Io mettevo i punti e virgola sull'indice della mano destra e riuscivo a distinguerli benissimo dalle semplici virgole, meravigliato che mio nonno non fosse in grado di fare altrettanto. Oppure erano tanto grandi, le lettere, che facevo fatica a tenerle in mano. Erano F schematiche che dovevo reggere con entrambi le mani, oppure S sinuose delle quali mi divertivo a seguire il profilo con l'indice. Poi tiravo fuori dai cassetti qualche foglio bianco e vi disegnavo sopra con la penna nera R roboanti, Z battagliere e G arzigogolate. Talvolta andavo in ufficio, una zona dello stanzone separata da un parete di compensato, a battere sui tasti di una macchina da scrivere parole in libertà. Nel lavoro di tipografo tutte le lettere erano importanti, nessun carattere doveva essere trascurato, il trattino corpo 6 aveva lo stesso valore di una M corpo 72. O così pensavo io. Invece mio nonno si sarebbe disperato se avesse letto sui grandi manifesti attaccati ovunque nel paese PALIO DEI CIUCHI scritto, per dire, PALIO DEI CIUCMI. Poteva capitare. Una volta stampò un manifesto di una gara ciclistica nel quale erano descritti i passaggi dei corridori e l'ora presunta di passaggio: piazza Garibaldi ore 11.00, via Matteotti ore 11.07, piazza Giovanni XXIII ore 11.05. Così gli avevano detto e così lui stampò. Prima le 11 e 7, poi le 11 e 5. Rimasi stupefatto da questa decisione: era un errore e lui doveva correggerlo. Ogni volta che andavo a passare i pomeriggi in tipografia volevo rovistare negli enormi cassetti nei quali erano riposti blocchetti metallici di tutti i tipi e dimensioni, divisi in scompartimenti dalle pareti di legno. Una volta tirati fuori e osservati, rigirati, toccati, dopo essermi macchiato a dovere le mani, dovevo riporli attentamente ognuno al proprio posto. A forza di giocare con i caratteri mobili avevo imparato a leggere intere frasi al contrario, capacità indispensabile per un buon tipografo.

Mia nonna aveva una cartolibreria nel centro del paese: vendeva carta, buste, penne, quaderni, libri. I libri non li comprava mai nessuno, non so se era perché in paese non leggeva nessuno o perché se li andavano a comprare in città. Io credo che fosse perché non leggeva nessuno. Io li leggevo a puntate, ogni volta che andavo in negozio leggevo qualche pagina, poi, quando tornavo la volta successiva, riprendevo la lettura. Solo che spesso, non potendo tenere un segnalibro, non ricordavo a che punto ero arrivato e ricominciavo a caso; talvolta mi accorgevo di aver già letto quelle pagine, altre volte, probabilmente, avevo ne avevo saltate parecchie. Oppure il libro mi aveva stancato e ne cominciavo un altro, magari ne leggevo tre o quattro contemporaneamente, saltavo dall'uno all'altro, a seconda delle giornate, del tempo, della voglia di letture da bambini o più seriose. In realtà, molto più spesso andavo all'edicola a comprare la Gazzetta dello sport e leggevo quella. I giornali erano enormi per un bambino delle elementari così io andavo dietro il banco, riparato dalla vista dei clienti, mettevo il giornale in terra, nel poco spazio rimasto libero tra gli scatoloni e la merce in vendita, mi stendevo sulla rosea e la studiavo riga per riga, sognando, come tutti i miei amici, di diventare un grande campione di tennis o di calcio. Nel periodo estivo, poco prima e all'inizio dell'anno scolastico, le letture lasciavano il posto al lavoro. Ero il piccolo commesso di mia nonna durante la stagione dei libri scolastici, l'unica in cui i compaesani sembravano davvero intenzionati a leggere qualcosa. In quel periodo tutti i libri che mi passavano sotto mano erano solo autore – titolo – casa editrice, e non ne sfogliavo mai uno perché nei pochi metri quadrati della cartolibreria, e anche fuori, si affollavano decine di studenti, ma più spesso di mamme, schiamazzanti e pretenziose, tutte improvvisamente timorose che i propri figli non imparassero abbastanza (i libri dovevano esser già arrivati per il primo giorno di scuola, altrimenti erano proteste e arrabbiature). Protestavano sempre, di solito perché i libri erano rincarati davvero troppo: non si poteva spendere così tanto per mandare a scuola un figlio! Poi, per fortuna, i soldi ce li avevano, perché spendevano il doppio di quanto erano costati i libri comprando zaini e agende colorate.

Così da bambino sguazzavo tra le lettere e le buste, tra i fogli e le penne, tra i libri e i quaderni, e ogni tanto mi arrivava qualcosa di questo mare di inchiostro e carta, qualcosa penetrava nella mia mente, mi rimaneva anche nelle giornate d'estate tra i campi e le strade, a ridere e giocare, a correre e litigare, a fare a botte e far la pace, tutta questa materia della quale erano composte le mie giornate s'incuneava lentamente nel mio corpo e non me ne accorgevo, non pensavo che potesse non essere così, odoravo di inchiostro e di carta stampata e le mie mani erano sporche di nero, sempre macchiati i miei polpastrelli, e giocavo e leggevo, e mi impregnavo dell'odore dei manifesti stampati di nero su carta gialla luminosa.

silviodulivo

14 commenti:

Stranistranieri ha detto...

Finalmente un po' di memorie macchiate d'inchiostro. Si sentono anche gli odori.

Anonimo ha detto...

Il primo racconto di silviodulivo che non mi suscita angoscia.
Molto bello.

Florentina

viola ha detto...

Sono d'accordo con Florentina. Io adoro come scrive silviodulivo ma certe volte mi lascia davvero l'amaro in bocca
Viola

Anonimo ha detto...

Questa sì che è una sterzata, è la nostra Bad Godesberg! Il D’Olivo si è convocato da solo in congresso straordinario e ha deciso, alla sua unanimità, la nuova linea: il ventre molle dei vulgaris ha subito risposto positivamente e, a dimostrazione dell’urgenza del rinnovamento, ha persino trovato lo stimolo per esprimere tutte le perplessità circa la vecchia linea. Lo zoccolo duro, come avevamo già previsto, è d’accordo. Resta da capire quale sarà la reazione dell’ala radicale.
Nel frattempo, nessuno tocchi Ismaele!
Homo Vulgaris

Homo Faber ha detto...

Ho imparato cosa significa camurria e cos'è una Bad Godesberg. Però, in cosa consiste la sterzata? Il racconto non mi ha suscitato angoscia, né amarezza, né altri sentimenti o sensazioni. Mi ha ricordato un po' Cuore ma il De Amicis non è nella famosa lista. In definitiva devo confessare che non ci ho capito nulla.

Anonimo ha detto...

Non te la prendere HF, il "non averci capito nulla" è tipico dei conservatori. Il PCI scoprì Bad Godesberg trent'anni dopo... se saprai aspettare potrai capire anche tu la sterzata del D'Olivo.
Homo Vulgaris

silviodulivo ha detto...

Tutto, ma non "non ci ho capito nulla". Piuttosto avrei riscritto, o tolto, la frase. "Poi, per fortuna, i soldi ce li avevano, perché spendevano il doppio di quanto erano costati i libri comprando zaini e agende colorate" perché sa troppo di giudizio morale

Anonimo ha detto...

Sono diverse le cose che HF non ha capito, nemmeno l'accostamento fra il D'Olivo e l'Hanta/Hrabal... fra la tipografia e il macero dei libri... Qualche spiegazione il D'Olivo deve darla anche ai vulgaris: fu vera svolta?
HV

Homo Faber ha detto...

Anche se silviodulivo non l'accetta preferisco la formula "non ci ho capito nulla" a quella più presuntuosa di "qui non c'è nulla".
E infatti HV svela un accostamento per me oscuro, ma lampante, immagino, per tutti i lettori.
Sarebbe per HV una svolta passare da uno stile un po' grezzo alla rinuncia a qualsiasi stile? Ed è in quanto rinuncia nefasta che richiama la Bad Godesberg?

Anonimo ha detto...

Col senno della Storia, Bad Godesberg non fu una rinuncia nefasta. Se il PCI avesse fatto quella scelta anche solo verso la fine degli anni sessanta, tutta la nostra storia sarebbe stata diversa...oggi sarebbe, il nostro, un paese "normale" e non avremmo il Berlusconi quarto. Per analogia si potrebbe dire che quel che oggi appare una rinuncia a un qualsiasi stile potrebbe anche rivelarsi come ricerca di un nuovo stile.
HV

silviodulivo ha detto...

Il vertice fatica, come dire, a seguire la base.
Comunque: 1) nessuna Bad Godesberg (della quale apprendo l'esistenza ora), il passato non viene rinnegato, per la disperazione di Homo Faber 2) preferisco alcune strade ma non precludo le altre (anche solo per dare un'occhiata, qualche incursione si può fare) 3) Non esistono non-strade, ovvero non-stili, ognuna ha la sua ragione d'essere, basta esserne coscienti.

Anonimo ha detto...

Bih, che grannissima camurrìa!

Zizzania

Homo Faber ha detto...

Questa volta è silviodulivo che non ha capito nulla, dal momento che ho definito questo nuovo corso una rinuncia nefasta rispetto ai tentativi più o meno riusciti del passato.

silviodulivo ha detto...

In effetti "Il vertice fatica, come dire, a seguire la base" assomiglia molto a "non ho capito nulla".