martedì 24 giugno 2008

Il quaderno - di Homo faber / 4

(4 - continuazione e fine) IV POSTILLA DI DIVERSO AUTORE Ho trovato questo vecchio quaderno di scuola nascosto dietro una trave del soffitto della casa colonica dove sto quest’anno trascorrendo le vacanze estive. Nascosto, si fa per dire: mi ha fatto tornare in mente la famosa ninfa che si inoltrava nella selva, non per sfuggire al fauno, ma per farvisi seguire. La copertina nera e il bordo delle pagine rosso ne fanno uno di quei quaderni che alle persone della mia generazione riempiono il cuore di nostalgia. Da qui la curiosità che mi ha invogliato alla lettura. Quando ho finito, una semplice esclamazione: mah! Poi mi sono chiesto, senza usare l’eufemismo: che cavolo è questo? E quindi, con maggior contegno: diario fedele o pura letteratura? Spingeva a propendere per la seconda ipotesi la cura stilistica, incompatibile con la tempesta di emozioni che avrebbe provato un partecipante effettivo agli eventi descritti. La congettura sembrava confermata dall’intitolazione del testo e dei tre capitoli nei quali era suddiviso. Ma siccome sappiamo bene che le opere di fantasia contengono spesso dei riferimenti alla realtà, ho pensato che mi sarebbe stato forse possibile identificarne l’autore. Diciamo la verità: ho provato un senso di solidarietà con quello sconosciuto, non per le sue intemperanze, ma per i disagi che avrà provato. In questa stagione solo Angli, Sassoni, Goti, Variaghi ed altri appartenenti alle tribù del nord sanno apprezzare una campagna nella quale imperversano il caldo e la noia. Io ci sto passando, e almeno sono vegetariano e scapolo, anzi single, come si dice ora. Ma lui, con quello strano regime alimentare. E poi le corna. In definitiva le ricerche mi sono apparse un grato diversivo. Ho cominciato le indagini nel villaggio poiché adesso la casa appartiene ad una società non meglio definita ed io l’ho avuta tramite un’agenzia: da quel lato poco da fare. Fedele alle migliori tradizioni investigative ho cercato il postino, che poi è una postina. Sono così riuscito a sapere che il vecchio proprietario della casa, un vero signore, giovane, alto, robusto, veniva tutti gli anni a passarci l’estate, da solo. Un bell’uomo, ha voluto precisare la portalettere. Da lei ho pure saputo che una donna del posto aveva cura della casa in sua assenza, la preparava quando lui preannunciava il suo arrivo e si occupava delle pulizie quando era lì, soprattutto se c’erano degli ospiti. E cucinavo, ha aggiunto la casiera quando l’ho rintracciata, confermando che si trattava di un vero signore, giovane, alto e robusto, ma bello no davvero. Ho accertato dunque che il proprietario non doveva lesinare le mance e che le due donne non avevano gli stessi gusti in fatto di uomini, per quanto me ne potesse importare. Però mi sono chiesto se una delle due, e quale, mi avrebbe considerato bello, tenendomi il dubbio per me. Dalla casiera ho saputo che di visitatori ne venivano spesso e non si trattenevano per più di qualche giorno. Un anno però..., sì, un anno era stato suo ospite un signore, vero ovviamente, per un mese o più, e quello sì che era bello. E c’era la moglie, bella pure lei. Ho immaginato come sarebbe stato il cane, se ne avessero avuto uno. È opinione diffusa fra gli abitanti di quel paese, e chi potrebbe dar loro torto, che per passare un paio di mesi in una casa colonica non è necessario conoscere vita morte e misfatti dei precedenti abitatori. Di conseguenza con le mie domande stavo facendomi una fama poco lusinghiera. In ogni modo qualcuno mi ha consigliato di parlare col parroco, che la moglie dell’ospite frequentava assiduamente nel periodo che erano qui. Ci mancava un prete a complicare la faccenda, mi sono detto. Quando però l’ho visto, anziano, rinsecchito, ingobbito, emanante un acuto odore d’aglio a tre metri di distanza, non mi è sembrato tipo da tresca amorosa. Anzi, ho pensato che per frequentarlo assiduamente era necessaria una grande fede. Mi ha squadrato sospettoso e si è rassicurato dopo che gli ho menzionato i miei rapporti con un’importante università della capitale. Ho omesso di precisare che ero fra i firmatari di una certa lettera indirizzata al papa in occasione di una sua visita. Dal prete ho saputo dunque che quel tale era il direttore di un importante Istituto di Credito, che fumava la pipa, che era una persona cordiale ed educata come ce ne sono poche, di questi tempi poi (ahimè, il relativismo dilagante)! E un buongustaio. Uno insomma che se si suicidava lui, veniva fuori dal ritratto che me ne facevo, allora cosa dovrebbero fare gli altri? La moglie, che si chiamava, si chiamava..., macché, Lucrezia no di certo, era una donna bella, non nel senso mondano, quello lui non poteva dirlo. Era una persona di buon cuore, un’anima eletta con un gusto raffinato per gli addobbi floreali. E questa? mi stavo chiedendo, ma poi mi ha chiarito che tali sue doti si erano manifestate nella ricorrenza del patrono del villaggio, Santo Alessandro martire, che come tutti sanno (non gli ho detto che ero l’unica eccezione) cade il 26 d’agosto. In quell’occasione il contribuito della bella (non in senso mondano) signora all’organizzazione dei festeggiamenti era stata preziosa. Due persone insomma, teneva a precisare il sacerdote dopo le mie velate insinuazioni, la cui integrità morale non andava messa in discussione ed alle quali non era lecito attribuire turbe caratteriali, checché ne sentissi dire in giro. A dire il vero non avevo capito quali erano le doti del marito incompatibili con le turbe, delle quali niente in giro si diceva, se direttore di banca o buongustaio o fumatore di pipa. Della moglie l’amore per i fiori. A quel punto restava da informarsi sul lago, vincendo le resistenze degli indigeni. Tanto la nomea di bizzarro impiccione già me l’ero fatta. Così ho saputo che dopo il Matto l’unica vittima è stata una bambina di dodici anni, nell’estate di qualche anno fa. Un paio di giorni dopo la sua scomparsa si è cercato nel lago. Il corpicino è stato trovato sul fondo, immerso nel fango. La morte non era dovuta ad annegamento, bensì, come ha rivelato l’autopsia, a strangolamento, dopo che le era stata usata violenza. L’assassino non è mai stato scoperto. Avrei potuto completare le indagini verificando se l’anno del crimine coincidesse con la presenza nella casa colonica della coppia ospite, ma me ne sono astenuto: le mie indagini terminano qui. Adesso sono sotto la pergola, ad aggiungere questo quarto capitolo al quaderno, che poi riporrò dove l’ho trovato. Se il colpevole sta aspettando che qualcuno lo rintracci e metta fine alla sua attesa angosciosa, non sarò io a fargli questa grazia.* * Nota dell’Autore: ho trovato il quaderno, che trascrivo fedelmente senza niente togliere o aggiungere, dietro una trave del soffitto di una casa colonica immersa nella campagna toscana.

12 commenti:

Anonimo ha detto...

Be', a me è piaciuto molto. Devo dire che avrei preferito un finale più noir, che lasciasse intendere una relazione tra il delitto della bambina e la permanenza della coppia nella casa colonica o chiarisse gli esiti coniugali (...magari anch'essi delittuosi) della coppia stessa.

Complimenti a Homo Faber!

Florentina

Sul tema, suggerisco la lettura di M.Vichi, Nero di luna, Guanda, Parma, 2007, di cui inserisco di seguito la trama:

Emilio Bettazzi, giovane scrittore di Firenze, va ad abitare in una grande casa di campagna. E' convinto che su quelle bellissime colline del Chianti riuscirà a scrivere un romanzo. Ma fin dai primi giorni gli succedono strane cose. Sente le voci concitate di un litigio provenire da una villa che, a detta di tutti, è abbandonata da anni per via di una vecchia e terribile tragedia. Spinto dalla curiosità, ma anche dal desiderio di capire, e forse a suo modo di risarcire i fragili personaggi coinvolti nella vicenda, Emilio cerca di venire a capo di quei misteri, facendo domande, raccogliendo storie, scrutando volti e gesti, fino a spingersi di notte dentro la villa e nei boschi. Quello che scoprirà lo lascierà sbalordito, ma lo legherà per sempre a quei luoghi.

silviodulivo ha detto...

Io son rimasto piacevolmente sorpreso dalla virata del racconto e mi è rimasto un po' di amaro in bocca perché volevo che andasse avanti o si concludesse come ha detto Florentina

Anonimo ha detto...

Non mi meraviglia la delusione del D’Olivo che ha già professato, in altre occasioni, la propria adesione alla trash generation. Di Florentina non so, ma gli indizi sono inquietanti.
Per quanto mi riguarda, dico in sincerità che già dalle prime righe ho avvertito la cappa opprimente di quel surplus di carnalità, davvero indigeribile, che solo la psiche disturbata di un vegetariano potrebbe partorire. Il critico (il “tecnico”) utilizza altri strumenti di valutazione, il lettore legge anche con lo stomaco.

Homo Faber ha detto...

Un finale diverso non mi era consentito, perché già avevo esaurito, anche andando in rosso, il capitale di concessioni che secondo il mio concetto di letteratura, si possono fare al lettore senza mancargli di rispetto. Credo che il racconto lasci intendere, o lasci immaginare, molto più di quanto riveli. Questo non mi esonera dal ringraziare, e lo faccio di cuore, per gli apprezzamenti quanto mai graditi.
A HV non si dovrebbe replicare, perché lui poi dirà che scherzava, che stava facendo della satira, che non abbiamo compreso il suo umorismo. Comunque: l'autore dei primi tre capitoli non è vegetariano; l'autore del quarto lo è ma non sembra ostentare nel suo scritto un surplus di carnalità; HF non è vegetariano, e in ogni caso si è limitato a riportare ciò che già c'era sul quaderno.

Anonimo ha detto...

Stavolta HV non "scherzava", ma non scherzava neanche le altre volte. Naturalmente per il lettore è lecito presumere che vi sia un solo autore, che per l'appunto è vegetariano. In ogni caso, sono di quelli che leggono con lo stomaco, l'avevo detto.

Homo Faber ha detto...

Non sono sicuro di aver capito HV, come al solito, e come al solito sarà colpa mia. Io credo che la lettura tecnica del critico possa condurre all'identificazione di un autore vegetariano, ed in questo caso sarebbe un'induzione errata perché HF non lo è. Ma il lettore che legge con lo stomaco dovrebbe sentire che i primi tre capitoli sono scritti da un carnivoro e da un vegetariano il quarto. Altrimenti l'autore ha fallito nei suoi intenti.

Anonimo ha detto...

“…e almeno sono vegetariano e scapolo, anzi single, come si dice ora. Ma lui, con quello strano…”
Questo è quello che scrive l’autore della postilla, che presumibilmente è anche l’autore del quaderno. Il “lettore che legge con lo stomaco” ha capito benissimo che nessun “carnivoro” avrebbe mai preparato quel menu (che lo stesso autore definisce “strano”), “innaffiato con vino rosso vecchio di tre anni” e “il fiasco di vinsanto a portata di mano”, per un pranzo da consumarsi nella “campagna affogata nel caldo e nella polvere”. Se capita di leggere tutto questo proprio nell’afa insopportabile di questi giorni, quando si farebbe anche a meno di mangiare, l’effetto non può che essere sgradevole per il “lettore che legge con lo stomaco”. Non rappresenta un giudizio critico, il mio, ma solo la percezione “sgradevole”, “pesante”, che ricavo fin dalle prime righe.
Quello che non comprendo è il motivo che ha indotto l’Autore ad indugiare sui particolari del pranzo, ininfluenti nell’economia del racconto.

Homo Faber ha detto...

Vorrei precisare la dinamica del racconto, che forse non è molto chiara, anche perché la veste tipografica nel blog è tremenda. C'è il personaggio 1, carnivoro e sposato, che scrive i primi tre capitoli; il personaggio 2, vegetariano e single, trova il quaderno, scrive la postilla e nasconde di nuovo il quaderno; il personaggio 3 (mettiamo che sia HF) trova il quaderno e lo pubblica. Il regime alimentare è apprezzato dal personaggio 1 (e forse dal prete) anche se non da lui deciso; invece è strano per il personaggio 2. La sua funzione nell'economia del racconto è quella di delineare il personaggio 1, che l'accetta lietamente e ne subisce gli effetti. Perciò è pesante ed opprimente al pari del caldo afoso. Sia chiaro che questa non vuole essere una difesa del racconto. L'autore confessa le sue intenzioni, ma saranno il critico e il lettore a decidere se ha dato nel segno.

Anonimo ha detto...

Però non si trovi strano che il lettore possa, istintivamente, identificare il personaggio 2 (il vegetariano) con HF, il fatto che rimetta il quaderno dove l'ha trovato non lo esclude affatto.
Concordo con te che la colpa principale è del D'Olivo che, approssimativo come sempre, non cura abbastanza la veste grafica.

silviodulivo ha detto...

Sì, va be', ora sarà colpa mia. Mi sembra quei tennisti che danno la colpa al vento, alle palle, alla racchetta, al campo... Allora quando scrivevo io? Nessuno aveva niente da dire sulla grafia!
Per punizione 15 giorni a San Salvi a rinfrescarvi le idee. Da domani si rientra in manicomio. Vegetariani e carnivori, homifaber e homivolgari, violentatori e preti, personaggi 1, 2 e 3.

Anonimo ha detto...

No..il manicomio no... per favore!
Abbi pietà... raccontaci qualcosa sui tuoi avi, magari. Ma il manicomio no... ti prego.
Se vuoi, io e l'Homo Faber potremmo metterci d'accordo e scrivere un racconto in trecentosette parti...

silviodulivo ha detto...

Ti è andata bene. Ho lasciato il libro di cui volevo parlare a casa di un'amica. Quando lo recupero ricomincio