martedì 17 giugno 2008

Il quaderno - di Homo faber

LA PERGOLA
I LE CHIOCCIOLE
Il sacrificio è consumato. Alla facilità spensierata dell’ingestione delle vittime, decine di chiocciole naviganti nel sugo denso della loro cottura, non corrisponde altrettanto agevole digestione, che si preannuncia invece lunga e laboriosa. Sono apparse all’improvviso dopo la prima pioggia, ad affollare i viottoli dei campi e soddisfare la rapacità di numerosi cercatori, già che segnate nel loro destino erano prima la purga nella segatura e dopo tre giorni la cottura fra spezie e pomodoro, per essere servite in tavola, estratte dal guscio con meticolosità liturgica e minuscola forchetta a due rebbi, divorate col tocco di pane inzuppato nel sugo piccante, innaffiate con vino rosso vecchio di tre anni. Dopo di che il rituale reclamava una sosta prolungata nella poltrona di vimini sotto la pergola, con una pipa dal camino capace ed il fiasco del vinsanto a portata di mano. Non un alito di vento veniva a dissipare l’ascensione, pigra per lo scarso gradiente termico fra il fumo e l’aria afosa, delle spire aromatiche, ed inevitabile pareva accondiscendere all’appesantimento delle palpebre per l’abbiocco ed a difesa estrema dal cielo abbacinante della campagna affogata nel caldo e nella polvere, là fuori dal pergolato, intorno alla casa colonica nella quale sono ospite con mia moglie Lucrezia. Non era però consentito il dolce soccombere dalla turba dei pensieri, in disordine vaganti, violenti come sogni, rapidi nel disegnare traiettorie sempre più prossime a sfiorare il nodo centrale, che non voleva e non doveva essere manifestato. Ed allora ecco il quaderno nel quale incanalarli, i pensieri, nel tentativo forse vano di esorcizzare i più molesti almeno. Caldo e polvere da metà luglio fino all’acquazzone di tre giorni fa, che ha indotto allo scoperto le chiocciole da recondite dimore e me dal riparo della pergola. Ma dopo appena un’ora il paniere era colmo e il sole di nuovo cocente, l’afa insopportabile nell’umidità fermentata, e con la camicia incollata alla schiena per traspirazione copiosa ho allungato il passo verso casa, ho depositato il paniere in cucina, e senza far rumore sono salito al piano di sopra per raggiungere il bagno al termine del lungo corridoio, dove già pregustavo algido ristoro, con transito inevitabile davanti alla porta socchiusa della camera del mio ospite, dalla quale provenivano gemiti inconfondibili. Ho capito che il mio incedere, silenzioso in rispetto di chi, presumevo, fosse ancora assopito nel riposo pomeridiano, aveva ottenuto un esito ben diverso, ma la funesta premonizione non è valsa ad arginare l’impulso che mi esigeva affacciato e sbirciante. Un candido lenzuolo lasciava scoperta la testa, il collo taurino, le spalle brunite di lui; il suo corpo celava quello di Lucrezia, della quale vedevo un braccio, candido nel contrasto, ed il volto alterato, le labbra imploranti, gli occhi socchiusi. Stavo immobile sulla porta, incapace di staccarmi dalla scena ineffabile, quando lei li ha aperti, gli occhi, percorsi da un lampo di sorpresa nel dirigere a me lo sguardo, poi li ha richiusi, mentre il suo respiro diveniva un roco affanno da annegata e i movimenti dei corpi sotto il lenzuolo, da lievi e ritmati che erano, si facevano disordinati e violenti, sempre più accelerati. La mia comparsa da spettatore, insomma, ha scatenato un orgasmo così intenso, una così completa partecipazione all’atto amoroso, quali da attore oramai non riuscivo a provocare più. In silenzio ho ridisceso le scale. Il nostro ospite non deve nemmeno essersi accorto della mia presenza, mentre io e Lucrezia, quasi per muta intesa, abbiamo evitato ogni accenno a quanto è accaduto ed allo stesso modo abbiamo evitato ogni contatto dei nostri corpi. Che si possa dormire nello stesso letto senza nemmeno sfiorarsi è una scoperta che presto o tardi ogni coppia stabile è costretta a fare. Io ho tenuto i miei pensieri in purgo, insieme alle chiocciole, escludendoli dalla mia mente grazie ad una strana capacità che anche in altre occasioni si era manifestata, seppur mai con tanta evidenza. Ne sto adesso completando la digestione e l’assimilazione. Il caldo si fa sempre più insopportabile, perfino qui sotto la pergola, e meglio sarebbe salire in camera e cercare di dormire, nel letto dove sarà già Lucrezia. Se finora la sua presenza non ha ostacolato il mio sonno, oggi giacere al suo fianco mi appare inconcepibile, quasi oggi soltanto l’adulterio avesse acquisito il suo pieno significato. Però non so ancora quale atteggiamento assumere, non so neppure se dovrei parlarne, e avverto soprattutto l’esigenza di evitare una scenata; ma non certo, sia chiaro, a tutela di onore e dignità, termini risibili a fine secolo e qui, nella culla della civiltà, se usati a proposito di corna, bensì per il caldo che mal si concilia con gli alterchi coniugali. Né soffrirò per amore: prima del matrimonio, e subito dopo, credevo di essere innamorato di Lucrezia, forse lo ero; ma poi si sa, il legame diventa indissolubile, o tale è visto, ed il connubio riposante e pigro, sì che all’amore chi ci pensa più. Né soffrirò per orgoglio: sono fermamente convinto che l’uomo possa e debba utilizzare le sue energie in modo molto più proficuo che nell’impegno costante e gravoso dell’appagare le fregole di una moglie, e non pretendevo perciò che dei nostri congiungimenti, sempre più fiacchi ed insinceri, lei fosse pienamente soddisfatta. In definitiva ciò che più mi turba è lo stupore conseguente al crollo di un convincimento: che dei principi morali, o pregiudizi se si vuole, fossero garanti della sua fedeltà. Meglio mi sarei capacitato del tradimento cittadino se a ragione si sentisse trascurata quando il lavoro assorbe molto del mio tempo razionando e presenza e attenzione. Ma forse proprio in città è cominciata la tresca, e l’invito a venire qui a trascorrere le vacanze ne è stato la conseguenza: un pensiero questo che concorre a farmi sentire uno scomodo intruso, non senza provocare una certo inquieto prurito. Urge una scelta. Per il clima e l’inazione, tre giorni di astinenza cominciano a pesare. Posso considerare mia moglie un semplice strumento di piacere e utilizzarla malgrado tutto, ma temo che ciò venga a detrimento dei nostri rapporti futuri, quelli fuori del letto cioè, ed ostacoli poi la serenità tranquilla, l’armonia pacifica, perlomeno esteriori, della nostra convivenza, che tanto hanno contribuito ai miei successi nell’attività lavorativa. Ma è davvero tempo d’illazioni? Sarà il calore irrespirabile dell’aria, sarà il vinsanto che è calato nel fiasco come evaporando, ma questa pergola è simile a barca che affonda e sarà presto sommersa dai flutti. E allora perché tanti scrupoli? In fondo tutta la vita non è che un breve tragitto sur una barca che sta per affondare, e cercare un contatto concreto con la realtà intorno, vaghe onde spumeggianti e subito dissolte, è solo sciocca velleità. Sono io a scrivere queste cose? Meglio è che posi la penna e mi alzi. Il tabacco non brucia più nella pipa diventata troppo umida e forse anche la digestione è ormai conclusa. (continua)

4 commenti:

Anonimo ha detto...

A Napoli si dice “tien cchiù corn’ e na’ sport’ e maruzz’” (averci più corna di un paniere di lumache, o chiocciole). L’espressione è curiosa, solo l’immaginazione dei napoletani, credo, poteva adottare i simpatici gasteropodi (a ceste intere!) come numi tutelari di quelle situazioni solitamente rappresentate da ben altre e più evocative figure, come quella del cervo (nelle situazioni più raffinate), del bove (più categoriche) o delll’alce (più radical-chic). Come se il ricorso a figure meno imponenti, e più graziose, volesse suggerire una certa indulgenza di giudizio. La ricerca simbolistica, da parte dell’Autore*, dev’essere stata lunga e impegnativa ma è degna di nota: da sola, giustifica tutta questa prima parte.

(*) Se l’Autore è napoletano, allora non vale.

silviodulivo ha detto...

I due nemici storici, Homo Faber e Homo Vulgaris, uniti solo per dare contro al silviodulivo, sembra che stiano flirtando.
Devo dire che comincio a capire Homo Faber (più o meno): devo preoccuparmi io o deve preoccuparsi lui?
Aspettiamo il seguito

Homo Faber ha detto...

L'autore non è napoletano e non ha fatto nessuna ricerca simbolistica. Che silviodulivo non si preoccupi: il racconto è scritto per essere capito, mentre le epifanie sono scritte per essere intuite.

Anonimo ha detto...

Andiamo avanti o no?